Remo Bodei, La filosofia del Novecento

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Un manuale di filosofia – con tutti i limiti del genere – scritto con stile limpido e rigoroso da uno dei più importanti filosofi italiani viventi

Voto 6,5

 

 

Ho comprato il volume “La filosofia nel Novecento” perché in generale conosco poco gli autori appartenenti a questo periodo storico (a parte poche eccezioni) e perché mi sembrava importante formarmene un’immagine più chiara – per capire meglio i tempi attuali, che del pensiero del novecento sono in qualche misura figli. Non da ultimo, mi interessava utilizzare i rinvii necessariamente veloci ai singoli pensatori come una ricca raccolta di spunti, tracce per ulteriori approfondimenti.

Il testo si caratterizza per “…la rappresentazione di scene teoriche compatte, scandite per quadri concettuali, in cui i protagonisti intrecciano in maniera avvincente i loro argomenti nello sforzo di chiarire problemi che sono anche nostri”.

Il quadro d’insieme del Novecento che emerge è sintetizzato da questo passo eloquente: “Nella cesura netta con il proprio passato personale, resa possibile dalla revocabilità degli impegni, nell’infedeltà persino a se stessi…si manifesta – assieme a una maggiore libertà e scioltezza dell’individuo – anche il suo progressivo isolamento…l’allentamento dei vincoli con gli altri. Privato del pieno e organico inserimento nei “corpi intermedi” che l’avvolgevano (famiglia, comunità di vicinato, ceto o classe) e posto a diretto contatto con i suoi simili e con le istituzioni, egli è insieme più libero e più solo”. E’ questa un’immagine nitida dei nostri tempi, che tutto il testo attraversa lasciando ai margini concetti e problematiche di volta in volta diverse, ma unite dalla sensazione della perdita di un vero “centro di gravità permanente”.

Non mi è possibile qui scendere nel dettaglio delle figure dei singoli filosofi, ma posso fare un bilancio d’insieme che forse può aiutare il lettore interessato.

Rispetto alle attese, il libro si conferma una raccolta di spunti ricca e interessante. A ciascun pensatore è dedicato uno schizzo, compilato generalmente in modo molto acuto, attento al confronto di idee nel cui quadro il pensatore stesso si muove e assume rilevanza.

Ma conferma anche un’altra cosa: la storia della filosofia intesa come dinamica e confronto dei concetti nella storia rischia di perdere proprio ciò che è essenziale alla filosofia, ossia la dimensione della totalità. Tutte le filosofie degne di questo nome hanno quest’unico oggetto, il Tutto. E perciò io credo che ciascun filosofo rappresenti la totalità (e allo stesso tempo la totalità della filosofia) da un proprio unico ed esclusivo punto prospettico.

E’ per questa ragione che solo un approfondimento “verticale” del pensiero di un filosofo renda ragione della e dia un senso alla sua “posizione”. Altrimenti la filosofia si trasforma in storia dei concetti, che vengono comparati in maniera estrinseca, orizzontale, perdendo la dimensione “verticale” che rappresenta l’autentica ricchezza della interrogazione filosofica.

Il voto è un riconoscimento all’intelligenza e all’acume di Bodei, ma il suo testo (come tutte le storie dei concetti) ha poco senso senza un successivo approfondimento delle tematiche affrontate, ed ha pertanto solo un’importanza preliminare.

Buona lettura

http://www.ibs.it/code/9788807887000/bodei-remo/filosofia-nel-novecento.html

Giangiorgio Pasqualotto, Le filosofie del Grande Oriente

 

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La trascrizione di un intervento dell’autore, utile per chi è interessato a uno sguardo d’insieme sulla filosofia orientale e sulla sua “dignità” di pensiero autenticamente speculativo

Voto 7,5

 

 

Seguo da molti anni Giangiorgio Pasqualotto e i suoi scritti, che trovo straordinari (dagli Scritti su Nietzsche, a Estetica del vuoto, a Il Buddhismo, a Il Tao della Filosofia). Li trovo capolavori del pensiero in cui il rigore teoretico si coniuga mirabilmente con la concretezza pratica e la sensibilità estetica, oltre ad essere scritti in uno stile pregevole, molto ricco e curato.

Questo breve libretto è una trascrizione di un intervento dell’autore al Circolo Filologico Milanese, in cui egli mette in discussione l’idea della filosofia occidentale come patria del pensiero in quanto tale.

Il pensiero puro, in quanto non mischiato alla religione e alla mitologia, sarebbe – secondo molti – proprio della sola tradizione occidentale. In realtà, gran parte del pensiero occidentale è permeato da religione – da Platone a Plotino a tutta la filosofia medievale a Cartesio e Spinoza, ad Heidegger…, e Platone stesso utilizza il linguaggio mitologico per esprimere le verità più alte; e d’altra parte in Cina e in India abbiamo scuole empiristiche e logiche completamente svincolate dalla religione, e anche i testi più importanti della spiritualità indiana e cinese – dalle Upanishad al Tao Te Ching allo Zhuang Zi al Lieh Zi ai Dialoghi di Confucio si possono definire metafisici più che religiosi in senso stretto.

D’altra parte, in Oriente – sempre secondo molti – sembrerebbe assente l’idea di un principio unico che organizzi l’intera realtà. Qui basta citare le Upanishad e i concetti cinesi di Tao – la Via – e di Chi – il soffio vitale per smentire questa assunzione.

Inoltre è discutibile anche l’assunto per cui in Oriente prevarrebbe l’intuizione e in Occidente la razionalità.

Anche qui “io consiglio sempre, prima a me stesso e poi agli altri, di declinare al plurale: non esiste la filosofia occidentale, ma le filosofie occidentali”: questa frase riassume la portata metodologico/pratica dell’intervento di Pasqualotto – quella di dissolvere i concetti astratti, unitari, onnicomprensivi – che spesso mascherano soltanto l’ignoranza di chi parla – per approdare al concreto della pluralità degli eventi.

E proprio nell’approfondire ciascuna delle diverse filosofie nella sua autonomia queste finiscono per illuminarsi a vicenda pur mantenendo la loro autonomia e la loro pari dignità (un po’ come le costellazioni di idee dell’introduzione al Dramma Barocco Tedesco di Benjamin, o come le Ideen di F. Schlegel).

Questo a mio parere risulta particolarmente evidente studiando la storia della filosofia: la ricostruzione storica prevede il dispiegamento di una carrellata di concetti astratti e superficiali che dovrebbero dar ragione delle filosofie storicamente determinate, ma in realtà è sufficiente studiare con serietà anche solo una di queste filosofie – andando oltre il concetto astratto di essa – per trovare una miniera d’oro – il mondo in un granello di sabbia come diceva W. Blake.

Tornando al libretto, Pasqualotto ravvisa l’autentica differenza tra i pensieri d’Oriente e d’Occidente in una differenza d’intenti. ”La differenza non sta nella presenza o assenza della razionalità, ma nel come è stata usata la razionalità nella storia. Le tre nostre maggiori invenzioni sono scienza, Cristianesimo e capitalismo…e scienza e capitalismo sono ormai mondiali”. Il rischio di un Pensiero Unico sembra incombente, e l’antidoto più efficace – sembra dirci l’autore – è in una pratica di pensiero che tenga conto della pluralità delle realtà senza intenzioni riduzionistiche.

L’intervento si chiude con una brevissima presentazione del Buddismo. In estrema sintesi, il Buddismo:

  1. Non fa riferimento a Dio, né ad un figlio di Dio o a un suo messaggero, ma solo a un uomo (il Buddha, l’Illuminato) che ha compreso delle cose accessibili a chiunque e le vuole comunicare agli altri per il bene di tutti
  2. E’ a tutti gli effetti una religione, e una religione universale, in quanto la sua finalità è la salvezza (dal dolore dell’esistenza) e si rivolge a tutti indistintamente senza distinzione di cultura o razza
  3. IL buddismo NON prevede testi sacri né una verità assoluta né guru: “Non c’è una verità assoluta. La verità va sperimentata da ogni singolo”. La ragione non può arrivare a dirimere le grandi questioni metafisiche “una volta per tutte” perché è limitata. Ecco l’agnosticismo di Buddha e del buddhismo, molto simile a quello di Kant. E la verità è che “Sabbe dhamma anatta” Ogni realtà è priva di sé, tutte le cose esistono in maniera interdipendente, non esiste nulla di immediato. Il sapere arriva fino a qui, e non oltre. E’ la sua grande potenza – e il suo limite – dissolve le pretese di tutto ciò che è determinato a valere come assoluto.

Buona lettura!

http://www.ibs.it/code/9788862182171/pasqualotto-giangiorgio/filosofie-del-grande.html

Thich Nhat Hahn, Insegnamenti sull’amore

 

Un manuale sull’amore che usa parole semplici e umili ma che accede in maniera potente al livello della spiritualità autentica, da leggere e rileggere quale continua fonte di ispirazione

Voto: 8,5

Il famoso monaco vietnamita di tradizione buddista zen Rinzai non ama i fronzoli. “La felicità è possibile solo con il vero amore”. Così inizia il suo libro Teachings on Love.

Quindi la felicità è possibile, non è una chimera. La felicità salda, duratura, la profonda gioia del cuore è possibile. I molti che sono convinti che siano possibili in questa vita solo soddisfazioni momentanee, a cui necessariamente debbano seguire periodi anche lunghi di disillusione e di tristezza – perché così funzionano le cose – qui ascolteranno qualcosa di inaudito.

Ma bando a non scambiare la cosiddetta felicità che si ottiene tramite le piccole e grandi vittorie di ogni giorno – che sarebbe più corretto definire soddisfazione – con quella di cui parla lui qui: ossia la felicità che si ottiene “solo con il vero amore”.

E’ questa la felicità piena e autentica, per cui si giunge tramite una porta stretta (di evangelica memoria) ossia “solo” così e non altrimenti. Non si tratta – ci sta prospettando Thich – di una passeggiata, di una cosa facile da capire e da praticare, che si può fare così ma anche in altri modi, a seconda delle fantasie degli interessati, ma qualcosa che è possibile ottenere solo tramite il “vero” amore.

Già da queste primissime righe si comincia a intuire che il libro non tratta di generici “buoni sentimenti”, di pio e bigotto sentimentalismo, come dal titolo qualcuno – non conoscendo lo spessore spirituale dell’autore – potrebbe essere portato ad immaginarsi, magari prendendo a riferimento il suo proprio livello spirituale.

Qui si tratta dell’amore con la A maiuscola. Non l’invaghimento o l’attrazione erotica o tutto ciò che si definisce normalmente amore nel linguaggio di ogni giorno , ma qualcosa di molto diverso, molto potente, significativo, trasformativo:
“Il vero amore ha il potere di guarire e trasformare la nostra condizione e può dare alla nostra vita un significato profondo.”

Questo significato non è però qualcosa di esoterico e di irraggiungibile. Alcuni hanno raggiunto questo livello e lo praticano stabilmente nelle loro vite. Il Buddha stesso ha spiegato chiaramente e “scientificamente” come raggiungerlo tramite insegnamenti alla portata di tutti:
“Ci sono persone che comprendono la natura del vero amore e che sanno come generarlo e alimentarlo. Gli insegnamenti del Buddha sull’amore sono chiari, scientifici e realizzabili: chiunque di noi ne può trarre beneficio”

Tutto il libro sarà dedicato all’analisi di questo “Amore” nelle sue componenti principali, all’offerta di tecniche molto potenti di visualizzazione, non fine a se stesse ma rinvianti continuamente alla concretezza dell’agire e alla dimensione comunitaria della pratica spirituale condivisa, a forme di preghiera e di meditazione frutto della grande esperienza dell’autore e della sua palmare conoscenza della sfera spirituale.

“Quando pratichiamo la meditazione dell’amore, non ci limitiamo a visualizzare il nostro amore che si propaga nello spazio, ma entriamo in contatto con le sorgenti profonde dell’amore già presenti dentro di noi; solo allora possiamo esprimere e condividere il nostro amore nella vita quotidiana e nella realtà dei contatti con gli altri. Pratichiamo finchè non vediamo gli effetti concreti del nostro amore sugli altri, finchè non siamo in grado di offrire pace e felicità a tutti, anche a coloro che si sono comportati in maniera tutt’altro che amabile verso di noi”

Ecco l’impronta della spiritualità autentica, l’Amore Universale (Amor Dei Intellectualis direbbe Spinoza) che si compiace del sentimento dell’Uno dietro e oltre tutte le differenze.

Buona lettura!

http://www.amazon.it/Insegnamenti-sullamore-Thich-Nhat-Hanh/dp/8865591943

 

Vito Mancuso, Questa vita

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Un saggio dal taglio divulgativo sul senso della vita che si rivolge a tutti, credenti e atei, ricco di spunti da approfondire

Voto 7,5

Il libro di Vito Mancuso è uno scritto sintetico da lui stesso definito un “inno alla vita”. Non una trattazione sistematica dunque ma una specie di “chiacchierata colta” dedicata alla vita, ricca di spunti interessanti.

Il presupposto è che gran parte dei problemi che sperimentiamo al giorno d’oggi nella nostra relazione con il pianeta e con gli altri esseri umani nasce da una visione errata della natura, in cui il neodarwinismo vede semplicemente l’opera del puro caso e della selezione naturale.

Questa concezione “meccanicistica” dà come risultato l’esaltazione del primato del più forte e spoglia la natura di qualsiasi finalismo, stimolando un approccio aggressivo nei confronti degli altri e della natura stessa.

Tra gli stessi scienziati questa prospettiva non è certo l’unica, e si confronta con l’altra per cui la natura avrebbe una finalità “interna” e il principio della selezione naturale verrebbe sostituito dal principio dell’aggregazione naturale, ossia la tendenza interna alla materia stessa (che non è più materia statica, ma energia dinamica + informazione ordinatrice) a produrre sistemi sempre più complessi.

Secondo quest’ultima prospettiva “la vita nasce non contro la logica dell’universo, ma come sua applicazione”, dove la materia “è sempre al lavoro, perché è originariamente energia”.

“Anche la pietra e le nuvole verranno osservate con occhi diversi, perchè avremo finalmente compreso di vivere in un universo bioamichevole, dove cioè la vita è nata non contro, ma come conseguenza della logica che lo governa…ovvero una logica di aggregazione sistemica…è per questo che la nostra vita, nata come relazione, può sussistere solo nella relazione con la vita altrui”.

Pertanto “Umanità bontà e gentilezza non sono creazioni artificiose, ma scaturiscono dall’essenza stessa di questa vita”.

La natura ha una struttura dialettica / dinamica che vede l’alternarsi continuo di espansione e contrazione, di caos e logos, di energia e informazione, come in una specie di respiro cosmico.

Proprio respirazione e nutrizione sono le caratteristiche della vita nella sua forma per noi più semplice e immediata, quella di un neonato.

Ma come si fa a nutrire la vita? Al di là della conoscenza teorica che ce ne parla come un fenomeno aggregativo, cosa possiamo fare noi per nutrirla, per sostenerla?

La questione è tanto più importante in quanto potrebbe avere ragione il filosofo tedesco Feuerbach che sostiene che noi siamo quello che mangiamo.

Qui Mancuso opera uno scostamento che costituisce a mio parere il senso stesso di questo suo saggio: passa cioè da una posizione iniziale materialistica alla reintegrazione delle dimensioni “superiori” della vita restituendo al concetto di vita tutta la sua complessità.

Infatti la vita si può e si deve nutrire a vari livelli, dice Mancuso: non solo a livello corporeo, ma anche al livello della psiche, e poi a livello dello spirito – tramite apporti di energia e informazione.
Interessante l’introduzione del concetto di sapienza, principale nutrimento dello spirito, che non è mera conoscenza la quale “rimanda sempre oltre se stessa e quindi non può essere la produzione più alta della mente” ma ha a che fare con ”la creazione di un fine…una comunità libera e di esseri umani felici che con un continuo sforzo interiore lottino per liberarsi dell’eredità di istinti antisociali e distruttivi”

Queste premesse servono per dare corpo a una nuova spiritualità, che parta dal presupposto della relazione costitutiva di ciascuno di noi con tutti i viventi, con gli altri esseri umani e con la natura.

La prima relazione mette capo a una forma di nutrimento non violenta, cioè fondamentalmente vegetariana, con la consapevolezza che un certo grado minimo di violenza è ineliminabile.

La seconda fonda una pratica della giustizia basata sull’idea del superamento dell’inevitabile violenza insita nel permanere in questa vita (il peccato del mondo): il che si ottiene facendosi nutrimento per gli altri in termini di attenzione, di cura, di affetto, facendo agli altri quello che si vorrebbe fosse fatto a noi.

La terza approda dalla visione del mondo neodarwinista e meccanicistica a una visione della Terra come un unico organismo vivente, come la Gaia di Lovelock, capace di autoregolarsi per mantenere attive le condizioni più favorevoli alla vita, “come un immenso e sofisticato ecosistema che deve origine ed esistenza alla logica dell’armonia relazionale, un unico organismo vivente capace di autoregolazione nel quale ogni singolo elemento è interconnesso con ogni altro”

In definitiva è una nuova visione quella a cui questa vita ci chiama: noi “siamo un pezzo di materia capace di creare relazione, di dedicarsi, di uscire da sé, di aprirsi, di abbracciare, di amare. Seguendo tale logica si attua la liberazione dall’ego, la meta di ogni autentica esperienza spirituale, la prima e più necessaria ecologia. Da essa può rinascere la visione del mondo e della natura di cui questa vita ha bisogno per continuare a fiorire”.

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