Un volumetto agile ma molto ricco di spunti sul concetto di psiche in chiave psicanalitica, che non ha paura di spaziare dalla psicologia alla storia all’economia alla sociologia.
Voto: 8
Questo libro si legge tutto d’un fiato ma necessita almeno di una rilettura per coglierne gli spunti più importanti.
L’autore ricostruisce il concetto di psiche per come è venuto a determinarsi negli ultimi secoli, e in particolare a partire dalla nascita della psicoanalisi, spiegando la portata della rivoluzione copernicana realizzata da Freud e Jung nel suo intrecciarsi con la storia, l’economia e la sociologia dalla fine dell’800 fino ad oggi.
La psiche è da sempre presente nelle descrizioni dell’uomo, ma diventa fondamentale a partire dal successo della psicanalisi che porta prima l’isteria e poi le altre malattie psichiche entro un campo d’analisi laico (prima solo appannaggio della religione e della scienza medica).
Quando si parla di psiche, normalmente ci si sente tutti coinvolti, dice Zoja, in quanto si ha la tendenza a percepirsi come responsabili per i contenuti della propria interiorità (ad esempio una depressione, o una timidezza particolarmente pronunciata, o fantasie proibite, o idee fisse per citare le situazioni più comuni). Questa consapevolezza è associata spesso con un senso di colpa. Quando il senso di colpa si fa troppo forte, e la pressione aumenta, si manifesta la tendenza a proiettare il male vissuto come interno a noi fuori di noi (su un nemico, su un capro espiatorio). In questo modo Zoja tratteggia una dinamica della psiche che oscilla dalla chiusura soffocante nel soggetto ad una proiezione del contenuto su un oggetto qualsiasi, che acquista senso e valore a partire da quel contenuto.
Già da questo primissimo quadro si capisce che la caratteristica essenziale della psiche è di essere non solo l’interiorità di ciascuno di noi ma l’esistenza, la vita stessa, che oscilla tra la nuda soggettività dell’individuo e la proiezione di valori e di mondi solo in apparenza esterni alla psiche ma che in realtà ne sono parte integrante. “Le proiezioni della psiche… comprendono ogni manifestazione della vita e ne sono l’espressione estesa al di fuori del singolo”.
Il concetto di proiezione è strettamente connesso a quello di inconscio. Di fatto la proiezione è un dispositivo inconscio, noi pensiamo sempre di avere a che fare con il mondo ma ciò che vediamo è ciò che è dentro di noi. “L’umanità non è solo esterna: è anche questa pluralità interiore, che spesso finisce per essere quella meno conosciuta”
E il primo a “scoprire” l’inconscio e il suo funzionamento (la proiezione) è uno dei più grandi pensatori del secolo scorso, Sigmund Freud. Ma questa scoperta è il culmine di una parabola della storia umana che inizia con l’animismo – la convinzione proiettiva che tutte le cose abbiano un’anima, tipica delle culture primitive – e va verso il trionfo della razionalità, in cui il mondo viene spogliato da tutto ciò che è magico mitico e soprannaturale, e si trasforma in puro oggetto. Ecco che allora la razionalità dispiegata dell’illuminismo scopre ben presto all’interno del soggetto il principio della proiezione e della creazione dei mondi.
La grande opera che Freud vedeva come propria della civiltà umana era quella della “bonifica” dell’inconscio (Wo Es war soll Ich sein), il riappropriarsi di tutte le proiezioni in uno sguardo critico e disincantato verso il mondo che sostituisse all’atteggiamento inconsapevole e proiettivo tipico delle culture animiste un approccio auto-consapevole dei soggetti nel loro insieme.
Questa opera di ritiro delle proiezioni tuttavia ha avuto come conseguenza un aumento straordinario della pressione dei contenuti dell’inconscio all’interno del soggetto, e ha generato dei fenomeni devastanti di riemersione dell’inconscio che hanno segnato non solo la vita di singoli individui, ma in toto la storia umana – i totalitarismi, nazifascismo e comunismo ne sono casi emblematici. In questo caso la psicanalisi si fa potente strumento di comprensione del mondo, anche se ciò purtroppo non è stato sufficiente ad evitare il presentarsi di tale fenomeno in tutta la sua distruttività.
Oggi invece si assiste al ritiro estremo della proiezione nel soggetto, caso simboleggiato dalla figura dei ritirati, quei giovani senza lavoro e senza affetti (molto numerosi in culture avanzate come quella giapponese) che si chiudono tra le mura domestiche in qualche modo rifiutando il mondo, la partecipazione politica, la sessualità, ma coltivando allo stesso tempo un sentimento di onnipotenza vincolato a interfacce di tipo tecnico (smartphone, internet).
Questo fa capire, secondo Zoja, che il ritiro delle proiezioni è qualcosa che di per sé può essere dannoso, o meglio che si presta ad essere attuato in forma estrema e “distorta” producendo delle egoità sofferenti ed emarginate. D’altra parte, invece, le persone “normali” si concedono dei momenti di sospensione controllata della razionalità (una regressione fredda limitata nel tempo e nello spazio) durante eventi pubblici “laici” come le partite di calcio e i concerti. Ma tutto ciò, in un mondo sempre più globalizzato, potrebbe non essere più sufficiente – e allora “L’inconscio reagisce alle artificiali unilateralità, riproponendo nei sogni e nelle fantasie quello che manca e che sente come naturale. Si oppone così non soltanto alle distorsioni economiche ma anche a quelle simboliche imposte dalla globalizzazione. In tutti i Paesi globalizzati fioriscono forme di controcultura e di localismo”
In sostanza, come sosteneva l’ultimo Jung, la proiezione deve essere vissuta come indispensabile per la stessa esistenza umana, ma non dev’essere più subita inconsapevolmente bensì attuata, anche grazie alla disciplina dello sguardo a cui ci ha abituato la psicoanalisi, in forma consapevole. Una sorta di nuovo animismo della ragione, i cui segnali “l’aumento del volontariato, i festival culturali, una nuova generazione critica” seppur deboli fanno sperare in un futuro migliore.
In questo si sentono gli echi di quella “mitologia della ragione” che il Romanticismo Tedesco dell’800 vedeva come bisogno essenziale dell’anima dopo la fase del Secolo dei Lumi.
Per chiudere, propongo una citazione dal libro, che contiene molti altri spunti volutamente esclusi da questa recensione, e di cui consiglio vivamente la lettura: “Siamo esseri proiettanti: incapaci di separare a fondo l’io dall’altro, eppure incorreggibilmente convinti che la nostra migliore qualità sia la capacità di distinguere”.
Spero di avervi per lo meno incuriosito, in ogni caso buona lettura.