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Alan Cohen, Un Corso In Miracoli…Semplice

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Un libro agile che introduce ai grandi temi di Un Corso in Miracoli in modo efficace e a tratti entusiasmante

Voto 8

Un corso in miracoli è un classico della spiritualità che, dall’anno di pubblicazione (1976) ad oggi è stato letto da milioni di persone.

E’ stato scritto da due psicologi della Columbia University, la dottoressa Helen Schucman e il dottor Bill Thetford. La Dottoressa Schucman, in un periodo particolare della sua vita, iniziò a sentire una voce in sé stessa che le dettava dei contenuti particolarmente significativi, e decise di appuntarsi giorno per giorno ciò che le veniva dettato; il dott. Thetford trascriveva gli appunti filtrandoli grazie alla sua esperienza clinica.

Il libro nella sua versione definitiva, dopo 8 anni di lavoro, è “un metodo di risveglio spirituale per autodidatti, che insegna la via della pace interiore e della guarigione attraverso il potere dell’amore e del perdono”, è una sorta di “GPS spirituale” che si materializza quando siamo stanchi di “razzolare nel fango come i maiali”, “sentiamo che la vita che stiamo vivendo non può essere quella che Dio voleva per noi, e diventiamo impazienti di tornare alla nostra vera casa”.

Tuttavia, il Corso in Miracoli di per sé è un testo lungo e impegnativo, e per questo potrebbe non risultare di facile accesso.

Alan Cohen, un riconosciuto maestro del Self Help (ricordiamo di lui anche “Tutto il bello che c’è” e “Perché la tua vita fa schifo…e cosa puoi farci”) che tra l’altro ha dalla sua una più che trentennale conoscenza (e insegnamento) del Corso, ci guida, nel suo nuovo libro “Un corso in miracoli…semplice”, alla scoperta dell’essenza del testo in questione.

Il libro di Cohen in edizione italiana conta 235 pagine (contro le oltre 1300 del Corso) ed è scritto in maniera semplice e accattivante.

Di fatto, il libro ripercorre i concetti fondamentali del Corso, con una grande ricchezza di esempi concreti che ne rendono più semplice la fruizione.

Il tema tuttavia resta sempre lo stesso cioè quale sia, che significato abbia per noi e come si debba percorrere, la via dello Spirito.

Gli spiritualisti o idealisti di ogni scuola, accomunati dalla fiducia incrollabile nell’Unico Spirito come superiore e precedente alle molteplici forme determinate (che tuttavia restano a loro volta all’interno dello spirito in quanto loro condizione di possibilità), riconosceranno molti spunti importanti in questo volume di Cohen, e saranno spinti a leggersi il più impegnativo Corso in Miracoli in versione integrale.

“La tua verità autentica è solo e unicamente spirituale. Tu non sei il tuo nome, la tua età, il tuo peso, il tuo indirizzo, la tua religione, il tuo stato civile, il tuo conto in banca, la tua diagnosi medica, o qualsiasi altro attributo con cui il mondo ti identifica. Anche se la società ti dà etichette diverse a seconda dei parametri a cui fa riferimento, tu resti integro così come sei stato creato […] con la dignità della tua identità divina”

E questa verità non lascia indifferenti, non è solo parola, ma si fa riferimento per sollevarci alla nostra più vera condizione, oltre e fuori dalle trame del mondo e della mente:

“La mente, piena di paure, tesse una rete di complessità che fa sembrare impossibile sfuggire alle traversie del mondo. Il corso ci dice invece che la vita non deve essere per forza dura e che è perfettamente possibile sfuggire al mondo fabbricato dalla paura. Riduci ogni scelta a ciò che fa bene e a ciò che fa male e rispondi alla paura con l’amore, così troverai la pace che cerchi”

Sorge quindi nello Spirito uno scopo del tutto nuovo: “Tu pensavi di essere qui per ottenere beni materiali, dimostrare il tuo valore e trovare persone che ti amassero. Invece sei qui per ottenere pace, essere te stesso e trovare persone da amare. Pensavi di essere qui per sistemare il mondo. Invece sei qui per apprezzare quello che hai davanti e vedere il mondo con occhi nuovi. Pensavi di essere qui per insegnare, mentre sei qui per imparare”. Che cosa? Che “Sei una creatura d’amore in un universo fondato sull’amore”, e questo alla fine – ci dice Cohen – è ciò che insegnerai.

Buona lettura a tutti!

Luigi Zoja, Psiche

http://giotto.ibs.it/cop/cop.aspx?s=B&f=170&x=0&e=9788833926407

Un volumetto agile ma molto ricco di spunti sul concetto di psiche in chiave psicanalitica, che non ha paura di spaziare dalla psicologia alla storia all’economia alla sociologia.

Voto: 8

Questo libro si legge tutto d’un fiato ma necessita almeno di una rilettura per coglierne gli spunti più importanti.

L’autore ricostruisce il concetto di psiche per come è venuto a determinarsi negli ultimi secoli, e in particolare a partire dalla nascita della psicoanalisi, spiegando la portata della rivoluzione copernicana realizzata da Freud e Jung nel suo intrecciarsi con la storia, l’economia e la sociologia dalla fine dell’800 fino ad oggi.

La psiche è da sempre presente nelle descrizioni dell’uomo, ma diventa fondamentale a partire dal successo della psicanalisi che porta prima l’isteria e poi le altre malattie psichiche entro un campo d’analisi laico (prima solo appannaggio della religione e della scienza medica).

Quando si parla di psiche, normalmente ci si sente tutti coinvolti, dice Zoja, in quanto si ha la tendenza a percepirsi come responsabili per i contenuti della propria interiorità (ad esempio una depressione, o una timidezza particolarmente pronunciata, o fantasie proibite, o idee fisse per citare le situazioni più comuni). Questa consapevolezza è associata spesso con un senso di colpa. Quando il senso di colpa si fa troppo forte, e la pressione aumenta, si manifesta la tendenza a proiettare il male vissuto come interno a noi fuori di noi (su un nemico, su un capro espiatorio). In questo modo Zoja tratteggia una dinamica della psiche che oscilla dalla chiusura soffocante nel soggetto ad una proiezione del contenuto su un oggetto qualsiasi, che acquista senso e valore a partire da quel contenuto.

Già da questo primissimo quadro si capisce che la caratteristica essenziale della psiche è di essere non solo l’interiorità di ciascuno di noi ma l’esistenza, la vita stessa, che oscilla tra la nuda soggettività dell’individuo e la proiezione di valori e di mondi solo in apparenza esterni alla psiche ma che in realtà ne sono parte integrante. “Le proiezioni della psiche… comprendono ogni manifestazione della vita e ne sono l’espressione estesa al di fuori del singolo”.

Il concetto di proiezione è strettamente connesso a quello di inconscio. Di fatto la proiezione è un dispositivo inconscio, noi pensiamo sempre di avere a che fare con il mondo ma ciò che vediamo è ciò che è dentro di noi. “L’umanità non è solo esterna: è anche questa pluralità interiore, che spesso finisce per essere quella meno conosciuta”

E il primo a “scoprire” l’inconscio e il suo funzionamento (la proiezione) è uno dei più grandi pensatori del secolo scorso, Sigmund Freud. Ma questa scoperta è il culmine di una parabola della storia umana che inizia con l’animismo – la convinzione proiettiva che tutte le cose abbiano un’anima, tipica delle culture primitive – e va verso il trionfo della razionalità, in cui il mondo viene spogliato da tutto ciò che è magico mitico e soprannaturale, e si trasforma in puro oggetto. Ecco che allora la razionalità dispiegata dell’illuminismo scopre ben presto all’interno del soggetto il principio della proiezione e della creazione dei mondi.

La grande opera che Freud vedeva come propria della civiltà umana era quella della “bonifica” dell’inconscio (Wo Es war soll Ich sein), il riappropriarsi di tutte le proiezioni in uno sguardo critico e disincantato verso il mondo che sostituisse all’atteggiamento inconsapevole e proiettivo tipico delle culture animiste un approccio auto-consapevole dei soggetti nel loro insieme.

Questa opera di ritiro delle proiezioni tuttavia ha avuto come conseguenza un aumento straordinario della pressione dei contenuti dell’inconscio all’interno del soggetto, e ha generato dei fenomeni devastanti di riemersione dell’inconscio che hanno segnato non solo la vita di singoli individui, ma in toto la storia umana – i totalitarismi, nazifascismo e comunismo ne sono casi emblematici. In questo caso la psicanalisi si fa potente strumento di comprensione del mondo, anche se ciò purtroppo non è stato sufficiente ad evitare il presentarsi di tale fenomeno in tutta la sua distruttività.

Oggi invece si assiste al ritiro estremo della proiezione nel soggetto, caso simboleggiato dalla figura dei ritirati, quei giovani senza lavoro e senza affetti (molto numerosi in culture avanzate come quella giapponese) che si chiudono tra le mura domestiche in qualche modo rifiutando il mondo, la partecipazione politica, la sessualità, ma coltivando allo stesso tempo un sentimento di onnipotenza vincolato a interfacce di tipo tecnico (smartphone, internet).

Questo fa capire, secondo Zoja, che il ritiro delle proiezioni è qualcosa che di per sé può essere dannoso, o meglio che si presta ad essere attuato in forma estrema e “distorta” producendo delle egoità sofferenti ed emarginate. D’altra parte, invece, le persone “normali”  si concedono dei momenti di sospensione controllata della razionalità (una regressione fredda limitata nel tempo e nello spazio) durante eventi pubblici “laici” come le partite di calcio e i concerti. Ma tutto ciò, in un mondo sempre più globalizzato, potrebbe non essere più sufficiente – e allora “L’inconscio reagisce alle artificiali unilateralità, riproponendo nei sogni e nelle fantasie quello che manca e che sente come naturale. Si oppone così non soltanto alle distorsioni economiche ma anche a quelle simboliche imposte dalla globalizzazione. In tutti i Paesi globalizzati fioriscono forme di controcultura e di localismo”

In sostanza, come sosteneva l’ultimo Jung, la proiezione deve essere vissuta come indispensabile per la stessa esistenza umana, ma non dev’essere più subita inconsapevolmente bensì attuata, anche grazie alla disciplina dello sguardo a cui ci ha abituato la psicoanalisi, in forma consapevole. Una sorta di nuovo animismo della ragione, i cui segnali “l’aumento del volontariato, i festival culturali, una nuova generazione critica” seppur deboli fanno sperare in un futuro migliore.

In questo si sentono gli echi di quella “mitologia della ragione” che il Romanticismo Tedesco dell’800 vedeva come bisogno essenziale dell’anima dopo la fase del Secolo dei Lumi.

Per chiudere, propongo una citazione dal libro, che contiene molti altri spunti volutamente esclusi da questa recensione, e di cui consiglio vivamente la lettura: “Siamo esseri proiettanti: incapaci di separare a fondo l’io dall’altro, eppure incorreggibilmente convinti che la nostra migliore qualità sia la capacità di distinguere”.

Spero di avervi per lo meno incuriosito, in ogni caso buona lettura.

http://www.ibs.it/code/9788833926407/zoja-luigi/psiche.html

Remo Bodei, La filosofia del Novecento

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Un manuale di filosofia – con tutti i limiti del genere – scritto con stile limpido e rigoroso da uno dei più importanti filosofi italiani viventi

Voto 6,5

 

 

Ho comprato il volume “La filosofia nel Novecento” perché in generale conosco poco gli autori appartenenti a questo periodo storico (a parte poche eccezioni) e perché mi sembrava importante formarmene un’immagine più chiara – per capire meglio i tempi attuali, che del pensiero del novecento sono in qualche misura figli. Non da ultimo, mi interessava utilizzare i rinvii necessariamente veloci ai singoli pensatori come una ricca raccolta di spunti, tracce per ulteriori approfondimenti.

Il testo si caratterizza per “…la rappresentazione di scene teoriche compatte, scandite per quadri concettuali, in cui i protagonisti intrecciano in maniera avvincente i loro argomenti nello sforzo di chiarire problemi che sono anche nostri”.

Il quadro d’insieme del Novecento che emerge è sintetizzato da questo passo eloquente: “Nella cesura netta con il proprio passato personale, resa possibile dalla revocabilità degli impegni, nell’infedeltà persino a se stessi…si manifesta – assieme a una maggiore libertà e scioltezza dell’individuo – anche il suo progressivo isolamento…l’allentamento dei vincoli con gli altri. Privato del pieno e organico inserimento nei “corpi intermedi” che l’avvolgevano (famiglia, comunità di vicinato, ceto o classe) e posto a diretto contatto con i suoi simili e con le istituzioni, egli è insieme più libero e più solo”. E’ questa un’immagine nitida dei nostri tempi, che tutto il testo attraversa lasciando ai margini concetti e problematiche di volta in volta diverse, ma unite dalla sensazione della perdita di un vero “centro di gravità permanente”.

Non mi è possibile qui scendere nel dettaglio delle figure dei singoli filosofi, ma posso fare un bilancio d’insieme che forse può aiutare il lettore interessato.

Rispetto alle attese, il libro si conferma una raccolta di spunti ricca e interessante. A ciascun pensatore è dedicato uno schizzo, compilato generalmente in modo molto acuto, attento al confronto di idee nel cui quadro il pensatore stesso si muove e assume rilevanza.

Ma conferma anche un’altra cosa: la storia della filosofia intesa come dinamica e confronto dei concetti nella storia rischia di perdere proprio ciò che è essenziale alla filosofia, ossia la dimensione della totalità. Tutte le filosofie degne di questo nome hanno quest’unico oggetto, il Tutto. E perciò io credo che ciascun filosofo rappresenti la totalità (e allo stesso tempo la totalità della filosofia) da un proprio unico ed esclusivo punto prospettico.

E’ per questa ragione che solo un approfondimento “verticale” del pensiero di un filosofo renda ragione della e dia un senso alla sua “posizione”. Altrimenti la filosofia si trasforma in storia dei concetti, che vengono comparati in maniera estrinseca, orizzontale, perdendo la dimensione “verticale” che rappresenta l’autentica ricchezza della interrogazione filosofica.

Il voto è un riconoscimento all’intelligenza e all’acume di Bodei, ma il suo testo (come tutte le storie dei concetti) ha poco senso senza un successivo approfondimento delle tematiche affrontate, ed ha pertanto solo un’importanza preliminare.

Buona lettura

http://www.ibs.it/code/9788807887000/bodei-remo/filosofia-nel-novecento.html

Giangiorgio Pasqualotto, Le filosofie del Grande Oriente

 

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La trascrizione di un intervento dell’autore, utile per chi è interessato a uno sguardo d’insieme sulla filosofia orientale e sulla sua “dignità” di pensiero autenticamente speculativo

Voto 7,5

 

 

Seguo da molti anni Giangiorgio Pasqualotto e i suoi scritti, che trovo straordinari (dagli Scritti su Nietzsche, a Estetica del vuoto, a Il Buddhismo, a Il Tao della Filosofia). Li trovo capolavori del pensiero in cui il rigore teoretico si coniuga mirabilmente con la concretezza pratica e la sensibilità estetica, oltre ad essere scritti in uno stile pregevole, molto ricco e curato.

Questo breve libretto è una trascrizione di un intervento dell’autore al Circolo Filologico Milanese, in cui egli mette in discussione l’idea della filosofia occidentale come patria del pensiero in quanto tale.

Il pensiero puro, in quanto non mischiato alla religione e alla mitologia, sarebbe – secondo molti – proprio della sola tradizione occidentale. In realtà, gran parte del pensiero occidentale è permeato da religione – da Platone a Plotino a tutta la filosofia medievale a Cartesio e Spinoza, ad Heidegger…, e Platone stesso utilizza il linguaggio mitologico per esprimere le verità più alte; e d’altra parte in Cina e in India abbiamo scuole empiristiche e logiche completamente svincolate dalla religione, e anche i testi più importanti della spiritualità indiana e cinese – dalle Upanishad al Tao Te Ching allo Zhuang Zi al Lieh Zi ai Dialoghi di Confucio si possono definire metafisici più che religiosi in senso stretto.

D’altra parte, in Oriente – sempre secondo molti – sembrerebbe assente l’idea di un principio unico che organizzi l’intera realtà. Qui basta citare le Upanishad e i concetti cinesi di Tao – la Via – e di Chi – il soffio vitale per smentire questa assunzione.

Inoltre è discutibile anche l’assunto per cui in Oriente prevarrebbe l’intuizione e in Occidente la razionalità.

Anche qui “io consiglio sempre, prima a me stesso e poi agli altri, di declinare al plurale: non esiste la filosofia occidentale, ma le filosofie occidentali”: questa frase riassume la portata metodologico/pratica dell’intervento di Pasqualotto – quella di dissolvere i concetti astratti, unitari, onnicomprensivi – che spesso mascherano soltanto l’ignoranza di chi parla – per approdare al concreto della pluralità degli eventi.

E proprio nell’approfondire ciascuna delle diverse filosofie nella sua autonomia queste finiscono per illuminarsi a vicenda pur mantenendo la loro autonomia e la loro pari dignità (un po’ come le costellazioni di idee dell’introduzione al Dramma Barocco Tedesco di Benjamin, o come le Ideen di F. Schlegel).

Questo a mio parere risulta particolarmente evidente studiando la storia della filosofia: la ricostruzione storica prevede il dispiegamento di una carrellata di concetti astratti e superficiali che dovrebbero dar ragione delle filosofie storicamente determinate, ma in realtà è sufficiente studiare con serietà anche solo una di queste filosofie – andando oltre il concetto astratto di essa – per trovare una miniera d’oro – il mondo in un granello di sabbia come diceva W. Blake.

Tornando al libretto, Pasqualotto ravvisa l’autentica differenza tra i pensieri d’Oriente e d’Occidente in una differenza d’intenti. ”La differenza non sta nella presenza o assenza della razionalità, ma nel come è stata usata la razionalità nella storia. Le tre nostre maggiori invenzioni sono scienza, Cristianesimo e capitalismo…e scienza e capitalismo sono ormai mondiali”. Il rischio di un Pensiero Unico sembra incombente, e l’antidoto più efficace – sembra dirci l’autore – è in una pratica di pensiero che tenga conto della pluralità delle realtà senza intenzioni riduzionistiche.

L’intervento si chiude con una brevissima presentazione del Buddismo. In estrema sintesi, il Buddismo:

  1. Non fa riferimento a Dio, né ad un figlio di Dio o a un suo messaggero, ma solo a un uomo (il Buddha, l’Illuminato) che ha compreso delle cose accessibili a chiunque e le vuole comunicare agli altri per il bene di tutti
  2. E’ a tutti gli effetti una religione, e una religione universale, in quanto la sua finalità è la salvezza (dal dolore dell’esistenza) e si rivolge a tutti indistintamente senza distinzione di cultura o razza
  3. IL buddismo NON prevede testi sacri né una verità assoluta né guru: “Non c’è una verità assoluta. La verità va sperimentata da ogni singolo”. La ragione non può arrivare a dirimere le grandi questioni metafisiche “una volta per tutte” perché è limitata. Ecco l’agnosticismo di Buddha e del buddhismo, molto simile a quello di Kant. E la verità è che “Sabbe dhamma anatta” Ogni realtà è priva di sé, tutte le cose esistono in maniera interdipendente, non esiste nulla di immediato. Il sapere arriva fino a qui, e non oltre. E’ la sua grande potenza – e il suo limite – dissolve le pretese di tutto ciò che è determinato a valere come assoluto.

Buona lettura!

http://www.ibs.it/code/9788862182171/pasqualotto-giangiorgio/filosofie-del-grande.html

Thich Nhat Hahn, Insegnamenti sull’amore

 

Un manuale sull’amore che usa parole semplici e umili ma che accede in maniera potente al livello della spiritualità autentica, da leggere e rileggere quale continua fonte di ispirazione

Voto: 8,5

Il famoso monaco vietnamita di tradizione buddista zen Rinzai non ama i fronzoli. “La felicità è possibile solo con il vero amore”. Così inizia il suo libro Teachings on Love.

Quindi la felicità è possibile, non è una chimera. La felicità salda, duratura, la profonda gioia del cuore è possibile. I molti che sono convinti che siano possibili in questa vita solo soddisfazioni momentanee, a cui necessariamente debbano seguire periodi anche lunghi di disillusione e di tristezza – perché così funzionano le cose – qui ascolteranno qualcosa di inaudito.

Ma bando a non scambiare la cosiddetta felicità che si ottiene tramite le piccole e grandi vittorie di ogni giorno – che sarebbe più corretto definire soddisfazione – con quella di cui parla lui qui: ossia la felicità che si ottiene “solo con il vero amore”.

E’ questa la felicità piena e autentica, per cui si giunge tramite una porta stretta (di evangelica memoria) ossia “solo” così e non altrimenti. Non si tratta – ci sta prospettando Thich – di una passeggiata, di una cosa facile da capire e da praticare, che si può fare così ma anche in altri modi, a seconda delle fantasie degli interessati, ma qualcosa che è possibile ottenere solo tramite il “vero” amore.

Già da queste primissime righe si comincia a intuire che il libro non tratta di generici “buoni sentimenti”, di pio e bigotto sentimentalismo, come dal titolo qualcuno – non conoscendo lo spessore spirituale dell’autore – potrebbe essere portato ad immaginarsi, magari prendendo a riferimento il suo proprio livello spirituale.

Qui si tratta dell’amore con la A maiuscola. Non l’invaghimento o l’attrazione erotica o tutto ciò che si definisce normalmente amore nel linguaggio di ogni giorno , ma qualcosa di molto diverso, molto potente, significativo, trasformativo:
“Il vero amore ha il potere di guarire e trasformare la nostra condizione e può dare alla nostra vita un significato profondo.”

Questo significato non è però qualcosa di esoterico e di irraggiungibile. Alcuni hanno raggiunto questo livello e lo praticano stabilmente nelle loro vite. Il Buddha stesso ha spiegato chiaramente e “scientificamente” come raggiungerlo tramite insegnamenti alla portata di tutti:
“Ci sono persone che comprendono la natura del vero amore e che sanno come generarlo e alimentarlo. Gli insegnamenti del Buddha sull’amore sono chiari, scientifici e realizzabili: chiunque di noi ne può trarre beneficio”

Tutto il libro sarà dedicato all’analisi di questo “Amore” nelle sue componenti principali, all’offerta di tecniche molto potenti di visualizzazione, non fine a se stesse ma rinvianti continuamente alla concretezza dell’agire e alla dimensione comunitaria della pratica spirituale condivisa, a forme di preghiera e di meditazione frutto della grande esperienza dell’autore e della sua palmare conoscenza della sfera spirituale.

“Quando pratichiamo la meditazione dell’amore, non ci limitiamo a visualizzare il nostro amore che si propaga nello spazio, ma entriamo in contatto con le sorgenti profonde dell’amore già presenti dentro di noi; solo allora possiamo esprimere e condividere il nostro amore nella vita quotidiana e nella realtà dei contatti con gli altri. Pratichiamo finchè non vediamo gli effetti concreti del nostro amore sugli altri, finchè non siamo in grado di offrire pace e felicità a tutti, anche a coloro che si sono comportati in maniera tutt’altro che amabile verso di noi”

Ecco l’impronta della spiritualità autentica, l’Amore Universale (Amor Dei Intellectualis direbbe Spinoza) che si compiace del sentimento dell’Uno dietro e oltre tutte le differenze.

Buona lettura!

http://www.amazon.it/Insegnamenti-sullamore-Thich-Nhat-Hanh/dp/8865591943

 

Vito Mancuso, Questa vita

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Un saggio dal taglio divulgativo sul senso della vita che si rivolge a tutti, credenti e atei, ricco di spunti da approfondire

Voto 7,5

Il libro di Vito Mancuso è uno scritto sintetico da lui stesso definito un “inno alla vita”. Non una trattazione sistematica dunque ma una specie di “chiacchierata colta” dedicata alla vita, ricca di spunti interessanti.

Il presupposto è che gran parte dei problemi che sperimentiamo al giorno d’oggi nella nostra relazione con il pianeta e con gli altri esseri umani nasce da una visione errata della natura, in cui il neodarwinismo vede semplicemente l’opera del puro caso e della selezione naturale.

Questa concezione “meccanicistica” dà come risultato l’esaltazione del primato del più forte e spoglia la natura di qualsiasi finalismo, stimolando un approccio aggressivo nei confronti degli altri e della natura stessa.

Tra gli stessi scienziati questa prospettiva non è certo l’unica, e si confronta con l’altra per cui la natura avrebbe una finalità “interna” e il principio della selezione naturale verrebbe sostituito dal principio dell’aggregazione naturale, ossia la tendenza interna alla materia stessa (che non è più materia statica, ma energia dinamica + informazione ordinatrice) a produrre sistemi sempre più complessi.

Secondo quest’ultima prospettiva “la vita nasce non contro la logica dell’universo, ma come sua applicazione”, dove la materia “è sempre al lavoro, perché è originariamente energia”.

“Anche la pietra e le nuvole verranno osservate con occhi diversi, perchè avremo finalmente compreso di vivere in un universo bioamichevole, dove cioè la vita è nata non contro, ma come conseguenza della logica che lo governa…ovvero una logica di aggregazione sistemica…è per questo che la nostra vita, nata come relazione, può sussistere solo nella relazione con la vita altrui”.

Pertanto “Umanità bontà e gentilezza non sono creazioni artificiose, ma scaturiscono dall’essenza stessa di questa vita”.

La natura ha una struttura dialettica / dinamica che vede l’alternarsi continuo di espansione e contrazione, di caos e logos, di energia e informazione, come in una specie di respiro cosmico.

Proprio respirazione e nutrizione sono le caratteristiche della vita nella sua forma per noi più semplice e immediata, quella di un neonato.

Ma come si fa a nutrire la vita? Al di là della conoscenza teorica che ce ne parla come un fenomeno aggregativo, cosa possiamo fare noi per nutrirla, per sostenerla?

La questione è tanto più importante in quanto potrebbe avere ragione il filosofo tedesco Feuerbach che sostiene che noi siamo quello che mangiamo.

Qui Mancuso opera uno scostamento che costituisce a mio parere il senso stesso di questo suo saggio: passa cioè da una posizione iniziale materialistica alla reintegrazione delle dimensioni “superiori” della vita restituendo al concetto di vita tutta la sua complessità.

Infatti la vita si può e si deve nutrire a vari livelli, dice Mancuso: non solo a livello corporeo, ma anche al livello della psiche, e poi a livello dello spirito – tramite apporti di energia e informazione.
Interessante l’introduzione del concetto di sapienza, principale nutrimento dello spirito, che non è mera conoscenza la quale “rimanda sempre oltre se stessa e quindi non può essere la produzione più alta della mente” ma ha a che fare con ”la creazione di un fine…una comunità libera e di esseri umani felici che con un continuo sforzo interiore lottino per liberarsi dell’eredità di istinti antisociali e distruttivi”

Queste premesse servono per dare corpo a una nuova spiritualità, che parta dal presupposto della relazione costitutiva di ciascuno di noi con tutti i viventi, con gli altri esseri umani e con la natura.

La prima relazione mette capo a una forma di nutrimento non violenta, cioè fondamentalmente vegetariana, con la consapevolezza che un certo grado minimo di violenza è ineliminabile.

La seconda fonda una pratica della giustizia basata sull’idea del superamento dell’inevitabile violenza insita nel permanere in questa vita (il peccato del mondo): il che si ottiene facendosi nutrimento per gli altri in termini di attenzione, di cura, di affetto, facendo agli altri quello che si vorrebbe fosse fatto a noi.

La terza approda dalla visione del mondo neodarwinista e meccanicistica a una visione della Terra come un unico organismo vivente, come la Gaia di Lovelock, capace di autoregolarsi per mantenere attive le condizioni più favorevoli alla vita, “come un immenso e sofisticato ecosistema che deve origine ed esistenza alla logica dell’armonia relazionale, un unico organismo vivente capace di autoregolazione nel quale ogni singolo elemento è interconnesso con ogni altro”

In definitiva è una nuova visione quella a cui questa vita ci chiama: noi “siamo un pezzo di materia capace di creare relazione, di dedicarsi, di uscire da sé, di aprirsi, di abbracciare, di amare. Seguendo tale logica si attua la liberazione dall’ego, la meta di ogni autentica esperienza spirituale, la prima e più necessaria ecologia. Da essa può rinascere la visione del mondo e della natura di cui questa vita ha bisogno per continuare a fiorire”.

http://www.ibs.it/code/9788811689027/mancuso-vito/questa-vita-conoscerla.html

Pico Iyer, L’arte della quiete

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Un piccolo testo che in forma lieve ed evocativa danza sull’orlo del silenzio

Voto: 8

Ho sempre avuto il dubbio che i grandi viaggi, quelli che si programmano un anno prima, quelli che più lontano vai e più esotico suona il posto meglio è, non avessero il valore che normalmente gli si attribuisce.

Ma mi ci voleva un piccolo, agile testo come questo per trovarne una puntuale, delicata conferma.

E’ un testo paradossale: l’autore è un grande viaggiatore e a sua volta ci invita ad un viaggio (breve) alla scoperta dell’immobilità.

Nel corso di questo viaggio evoca diversi luoghi e personaggi, ma è come camminare sull’orlo del silenzio, il testo una traccia appena accennata, e tutti i personaggi evocati puntano il dito per un attimo verso il cuore immobile del moto, per poi scomparire.

Ognuno di essi incarna a suo modo il paradosso stesso del libro.

Ad esempio, ad un certo punto viene evocato “Thoreau, uno dei più grandi esploratori del suo tempo” che “scrive nei diari: “Non importa dove vai o quanto viaggi lontano – di solito, più è lontano, peggio è; importa quanto sei vivo””.

Proprio il tanto viaggiare produce la conoscenza della vanità del viaggio fine a se stesso, e della vitalità collegata al suo opposto – la quiete.

Memorabile la figura di Leonard Cohen con cui si apre e si chiude il libro, “quell’ometto con l’aria da rabbino, gli occhiali con la montatura in metallo e il berretto di lana”, anche lui “instancabile viaggiatore”: per lui alla fine di tanto peregrinare “Stare seduto immobile era l’unico divertimento davvero intenso che aveva trovato nella vita, un divertimento profondo e sensuale e delizioso. Una vera festa”

Pico ci ricorda che “parlare di quiete è davvero un modo per parlare di lucidità, di salute e di gioia” …”piaceri inaspettati” di un libro che è un “invito all’avventura di non andare da nessuna parte”. Ricorda l’invito al piacere di Epicuro, tutt’altro che crapula ma uso misurato e saggio dei beni naturali e necessari per vivere, riconosciuti come tali e distinti dai beni non naturali e non necessari, che invece era opportuno evitare. O come fa dire Iyer all’ammiraglio Byrd “metà della confusione del mondo deriva dal non sapere di quanto poco abbiamo bisogno”

Ma perché questo invito all’avventura paradossale della quiete? Perché “La maggior parte dei nostri problemi – e di conseguenza le nostre soluzioni, la nostra serenità – stanno all’interno”; “La nostra esistenza si svolge così tanto dentro la nostra testa – nella memoria o nell’immaginazione, nella speculazione o nell’interpretazione- che talvolta mi sembra che il modo migliore per cambiarla sia guardarla da un’angolatura diversa, mutando la prospettiva dentro di noi”.

Ed ecco riformulato il paradosso iniziale: “Ho sempre viaggiato, eppure l’esperienza che ne ho tratto ha acquistato significato e vigore solo dopo che ho fatto ritorno a casa, e solo nella quiete ho trasformato quanto ho visto in profonde visioni interiori”.

Ed è questo il senso dell’attività dello scrittore, “trasformare una vita di movimento nella quiete dell’arte” come Proust che ci può illuminare “con le sue storie di guerra e feste scintillanti, di donne incantevoli, dame dell’alta società e sfarzose serate al teatro dell’opera” … “solo stando seduto immobile, praticamente da solo…per anni e anni a osservare come ricostruiamo il mondo in forma permanente nelle nostre teste”.

In successione sfilano altri personaggi, tratteggiati con poche, efficaci pennellate come Emily Dickinson, “la poetessa famosa per non essere quasi mai uscita di casa”, oppure Mark Rothko, al cospetto dei cui quadri si avverte “una forza che attirava sotto la superficie dei dipinti, verso la quiete dei colori” o la vita che John Cage “aveva espresso con il silenzio”, oppure Thomas Merton, che si ritira in un monastero per decenni salvo poi conoscere l’amore carnale in ospedale a 51 anni dopo una vita di rinunce – e questo insegna che la quiete non può essere forzata, e che “non si possono vincere le ombre dentro di noi semplicemente allontanandosi da esse” in una “cattiva” quiete. Non poteva mancare naturalmente Blaise Pascal, che disse nei suoi pensieri che “tutta l’infelicità degli uomini ha origine da un semplice fatto: non sono capaci di starsene tranquilli nella loro stanza”.

In definitiva ”potete andare in vacanza a Parigi, alle Hawaii o a New Orleans, e vi divertirete un sacco … Ma se volete tornare a casa sentendovi nuovi – vivi, pieni di speranza e innamorati del mondo – allora credo che “nessun dove” sia il luogo che voi dobbiate visitare”.

http://www.amazon.it/Larte-della-quiete-Pico-Iyer/dp/8817079553

Larry Winget – Sta’zitto, smettila di lamentarti e datti una mossa

Larry Winget – Sta’zitto, smettila di lamentarti e datti una mossa, Edizioni My Life

http://alessandria.bookrepublic.it/api/books/9788863868012/cover

Una lettura motivazionale pragmatica che propone in maniera semplice e diretta – ma alle volte un po’ ingenua e semplicistica – alcuni temi classici della crescita personale.

Voto: 7

Uno dei concetti chiave del libro è che “spesso sappiamo quello che sarebbe giusto fare ma non lo facciamo, per pigrizia o perché non ce ne frega niente”. E’ un assunto criticabile, nel senso che sì l’osservazione è corretta ma non l’indicazione delle cause – non è per pigrizia o perché non gli importa niente che il fumatore continua a fumare ma per una coazione irrefrenabile. Ma funziona come stimolo, nel senso che dà al lettore una bella sferzata e lo mette di fronte alle sue responsabilità. In ogni caso, un concetto simile è quello di akrasia o procrastinazione (per approfondire leggere QUI). A ciò – secondo l’autore – è strettamente connesso il concetto di stress: “Lo stress è sapere cosa è giusto e fare quello che è sbagliato”. Quindi se vogliamo diminuire il livello di stress e di ansia dobbiamo ascoltare di più la nostra voce interiore e “darci una mossa”. Questo è il tratto volontaristico che percorre tutto il testo di Winget, dal titolo all’ultima pagina.

Un altro concetto proposto è l’importanza di credere nella salute – “puoi essere sano non è detto che ti devi ammalare e spesso credere nella propria salute è sufficiente a rimanere in salute” questo vale per le malattie fisiche figuriamoci per quelle psicologiche…Come dire: l’atteggiamento con cui si affronta la vita è spesso determinante, ed è tra l’altro l’unica cosa veramente in nostro potere.

Un ulteriore concetto molto interessante è lo spirito di servizio, il lavoro che fai sarà tanto piú remunerato quanto piú di valore sarà il servizio che tu fai agli altri (clienti innanzitutto ma anche colleghi, capo etc.)

Spesso il servizio agli altri si traveste da lavoro, ma lo spirito resta fondamentalmente quello. “Fai una lista di tutti i modi in cui puoi aggiungere valore alle vite degli altri: ai tuoi clienti, al tuo capo, alla tua famiglia, ai tuoi amici, perfino agli estranei.” Questo sia al lettore di ispirazione.

D’altra parte, è anche vero che un sano egoismo è la condizione per l’altruismo, servire gli altri vuol dire anche fare ció che si ama e che ci rende felici. Viene con ciò sottolineata l’importanza dell’amore: ama quello che stai facendo, e lo farai in maniera eccellente. “Fondamentale è godersi la vita, e fare le cose che veramente ti piacciono. Se quello che sei e che fai non ti piace, cambia”

L’autore parla poi del principio della responsabilità totale riguardo alla propria vita: “tutto quello che è successo nella tua vita lo hai creato tu: sia il bene che il male, e precisamente i tuoi pensieri, le tue parole e le tue azioni. Sono questi che non vanno bene, questi che devi cambiare, e le cose cambieranno di conseguenza”. In altre parole, pensieri parole e azioni attraggono e creano la realtà che prefigurano. Anche qui, si tratta di un grande tema, quello della Legge dell’Attrazione, da Winget riletto e riproposto. Ancora: “La preoccupazione attrae a te esattamente ció che non vuoi accada. Smetti di focalizzarti su ció che non vuoi che accada in altre parole smetti di preoccuparti. Invece rimani focalizzato su ció che vuoi che accada. L’attenzione che darai a quella cosa la attrarrà a te. Cambia il tuo focus e cambierai i tuoi risultati”.

Per questo – secondo Winget – è fondamentale esercitarsi a immaginare la visione piú alta di se stessi, a cui conformare come una bussola tutti i pensieri. L’importanza dell’immaginazione è qui soltanto accennata, ma vorrei rimandare ai contributi di Raffaele Morelli, di Marco Ferrini e di W.Dyer per un approfondimento sostanziale di questo importantissimo aspetto.

D’altro canto la Legge dell’Attrazione non consiste nel desiderare / immaginare una Ferrari per poi farla materializzare a furia di pensarci, ma si tratta invece di qualcosa di più sottile. E di questo Winget è consapevole quando ammette che “spesso la convinzione di abbondanza si traduce in amare ed apprezzare ció che si ha”.

Ma se invece si cade in errore, si sbaglia, magari senza una chiara consapevolezza? “Quando combini un casino”– e a me capita abbastanza di frequente, detto per inciso – “non flagellarti, non lamentarti, semplicemente ammettilo, sistema le cose e vai avanti. Assumersi la responsabilità non significa lamentarsi di sé ma rendersi conto che hai fatto certe scelte che ti hanno portato ad essere dove sei ora, e che vanno modificate per cambiare la situazione da esse generata”. Per questo motivo, “un vero amico non tollerera’ le tue lamentele, tu stesso hai creato i tuoi casini e sempre tu potrai creare qualcosa di migliore se solo chiudi la bocca e inizi a farlo”.

Fondamentale resta peraltro “l’impegno a diventare piú intelligenti, leggendo un po’ di tutto e ascoltando conferenze seminari e parlando con persone intelligenti”

Winget spende anche alcune righe su Dio: “Dio è amore e ama tutti indistintamente. Dio desidera che tu sia felice, di successo, sano e prospero in ogni modo. Non è una cosa pia privarsi e soffrire. Il contrario. Siamo dotati di incredibili talenti e abilità, ciascuno di noi. Non usarli è come dare uno schiaffo in faccia a dio.” E ancora : “So che c’è un dio e che dio vuole il meglio per me: salute prosperità successo e felicità. Ho Fede in ció e posso contarci”.

In conclusione, questo di Winget è un libro fortemente motivazionale, ingenuo ma non troppo, che ha a mio parere il difetto di essere di impianto volontaristico (“datti una mossa”), e quindi non sempre funziona. Una sferzata di energia che comunque in certi momenti può essere utile.

http://www.ilgiardinodeilibri.it/libri/__sta-zitto-smettila-di-lamentarti-e-datti-una-mossa.php

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Stamattina ho aperto la pagina facebook del sito, sulla quale ho scelto di inserire le citazioni dei libri che ho letto che mi sono più piaciute. Ognuna di esse corrisponde a un concetto – un “flash” – che mi ha colpito e che mi fa piacere condividere con chiunque sia interessato all’argomento della crescita personale. Lo spirito è il medesimo che ispira queste pagine di blog, solo il formato cambia – pillole di pensiero di persone sagge prive di commento, che nella loro purezza (formale e di contenuto) ci indicano una strada, fanno balenare una prospettiva, che si interrompe subito, ma che forse proprio in questo modo ci offre una chance per aprire una volta per tutte la nostra visuale.
Ogni post corrisponde a una citazione, e alla fine della citazione riporto l’indirizzo a cui collegarsi per acquistare il materiale (libro, DVD e altro).
Il link per raggiungere la pagina facebook di Sentieri Interrotti è il seguente:
https://www.facebook.com/sentieriinterrotti

Olga Chiaia, Uscire dalla solitudine

OLGA CHIAIA, Uscire dalla solitudine, Urra

http://giotto.ibs.it/cop/cop.aspx?s=B&f=170&x=0&e=9788850328321

Un libro che affronta il tema della solitudine con grande umanità e sensibilità, ispirandosi a storie concrete in modo sobrio e delicato

Voto: 7,5

Il titolo del libro è molto impegnativo, la parola stessa “solitudine” fa un po’ paura e magari ci vergogniamo pure a passare alle casse della libreria di turno con un libro su questo argomento.

Tuttavia, questo testo della psicologa Olga Chiaia mi è piaciuto: non è assolutamente dogmatico, ma anzi è molto umano nell’esame della solitudine e delle persone sole, esame che non è soltanto teorico ma si avvale anche del racconto, delle storie di persone in carne e ossa. Inoltre l’autrice si mette in gioco da subito dichiarandosi fin dall’inizio una persona spesso troppo sola.

Il testo inizia subito con un’intuizione molto interessante: “Credo che un po’ tutti i libri siano di autoaiuto, dalla Bibbia ai romanzi. I manuali di self help, con esercizi e direttive, non sempre funzionano di più”. Tale intuizione in realtà è alla base di un progetto come quello del blog Sentieri Interrotti, in cui si esaminano incontri felici con testi dischi e film, tutti riferiti alla crescita personale in senso lato.

Con grande umanità (e umiltà) il libro continua parlando della solitudine e utilizzando riferimenti presi dal cinema dalla letteratura, dalle religioni (buddismo in particolare) dalla musica, dalla psicologia – dimostra cioè un eclettismo, che tuttavia non sfocia mai in erudizione, ma è sempre funzionale alla comprensione (“…per comprendere e aiutare basta esserci, non fuggire, stare lì con gentilezza. Non è necessario dire o fare o guarire, a volte basta non escludere, non fare altro male”).

Alla fine il messaggio del libro fa tutt’uno con la sua forma: per essere meno soli bisogna aprirsi, abbracciare le influenze più varie con uno spirito di condivisione, scoprendo inoltre il lato positivo, potente, dell’essere soli.

Spesso ci guardiamo troppo i piedi, presi dai nostri problemi e spaventati dai nostri difetti. Invece Olga ci insegna ad essere più attenti a chi ci sta di fronte, e c’è tutta l’esperienza della terapeuta nel racconto che ci fa delle storie dei suoi pazienti. Da qui emergono, con tratti semplici ma efficaci, delle caratteristiche universali che accomunano le persone sole – come ad esempio un senso di superiorità che si cela dietro al senso di inferiorità ed esclusione, o la percezione errata che più amici si ha e meglio è (con la relativa adesione acritica a qualunque tipo di rapporto), la sensazione di essere gli unici soli in un mondo di “integrati” – caratteristiche che sono viste senza critica, con uno sguardo partecipe.

Non manca anche un capitolo dedicato a una critica dell’odierna società liquida che “produce rifiuti umani che non sa come smaltire, e poi ne ha paura”, che è anche una critica della “buona creanza”, delle buone maniere che si usano nei luoghi non luoghi del moderno (i supermercati, gli aereoporti, i quartieri moderni ecc) per evitare un contatto umano più profondo.

Alla fine, l’autrice riconosce che la solitudine “può essere un momento di passaggio per cambiare, per crescere…è a partire da qui che diventiamo unici, che diventiamo soli come soli splendidi e possiamo illuminare la nostra via”.

PS: segnalo anche l’interessante corredo bibliografico alla fine del libro, abbastanza nutrito, con l’aggiunta gradita di qualche indirizzo web utile (non tutti ancora attivi, il libro risale infatti al 2010)

Buona lettura a tutti

http://www.amazon.it/Uscire-solitudine-Dietro-nuvole-lamicizia/dp/885032832X/ref=sr_1_1_twi_2?ie=UTF8&qid=1423259433&sr=8-1&keywords=olga+chiaia