La trascrizione di un intervento dell’autore, utile per chi è interessato a uno sguardo d’insieme sulla filosofia orientale e sulla sua “dignità” di pensiero autenticamente speculativo
Voto 7,5
Seguo da molti anni Giangiorgio Pasqualotto e i suoi scritti, che trovo straordinari (dagli Scritti su Nietzsche, a Estetica del vuoto, a Il Buddhismo, a Il Tao della Filosofia). Li trovo capolavori del pensiero in cui il rigore teoretico si coniuga mirabilmente con la concretezza pratica e la sensibilità estetica, oltre ad essere scritti in uno stile pregevole, molto ricco e curato.
Questo breve libretto è una trascrizione di un intervento dell’autore al Circolo Filologico Milanese, in cui egli mette in discussione l’idea della filosofia occidentale come patria del pensiero in quanto tale.
Il pensiero puro, in quanto non mischiato alla religione e alla mitologia, sarebbe – secondo molti – proprio della sola tradizione occidentale. In realtà, gran parte del pensiero occidentale è permeato da religione – da Platone a Plotino a tutta la filosofia medievale a Cartesio e Spinoza, ad Heidegger…, e Platone stesso utilizza il linguaggio mitologico per esprimere le verità più alte; e d’altra parte in Cina e in India abbiamo scuole empiristiche e logiche completamente svincolate dalla religione, e anche i testi più importanti della spiritualità indiana e cinese – dalle Upanishad al Tao Te Ching allo Zhuang Zi al Lieh Zi ai Dialoghi di Confucio si possono definire metafisici più che religiosi in senso stretto.
D’altra parte, in Oriente – sempre secondo molti – sembrerebbe assente l’idea di un principio unico che organizzi l’intera realtà. Qui basta citare le Upanishad e i concetti cinesi di Tao – la Via – e di Chi – il soffio vitale per smentire questa assunzione.
Inoltre è discutibile anche l’assunto per cui in Oriente prevarrebbe l’intuizione e in Occidente la razionalità.
Anche qui “io consiglio sempre, prima a me stesso e poi agli altri, di declinare al plurale: non esiste la filosofia occidentale, ma le filosofie occidentali”: questa frase riassume la portata metodologico/pratica dell’intervento di Pasqualotto – quella di dissolvere i concetti astratti, unitari, onnicomprensivi – che spesso mascherano soltanto l’ignoranza di chi parla – per approdare al concreto della pluralità degli eventi.
E proprio nell’approfondire ciascuna delle diverse filosofie nella sua autonomia queste finiscono per illuminarsi a vicenda pur mantenendo la loro autonomia e la loro pari dignità (un po’ come le costellazioni di idee dell’introduzione al Dramma Barocco Tedesco di Benjamin, o come le Ideen di F. Schlegel).
Questo a mio parere risulta particolarmente evidente studiando la storia della filosofia: la ricostruzione storica prevede il dispiegamento di una carrellata di concetti astratti e superficiali che dovrebbero dar ragione delle filosofie storicamente determinate, ma in realtà è sufficiente studiare con serietà anche solo una di queste filosofie – andando oltre il concetto astratto di essa – per trovare una miniera d’oro – il mondo in un granello di sabbia come diceva W. Blake.
Tornando al libretto, Pasqualotto ravvisa l’autentica differenza tra i pensieri d’Oriente e d’Occidente in una differenza d’intenti. ”La differenza non sta nella presenza o assenza della razionalità, ma nel come è stata usata la razionalità nella storia. Le tre nostre maggiori invenzioni sono scienza, Cristianesimo e capitalismo…e scienza e capitalismo sono ormai mondiali”. Il rischio di un Pensiero Unico sembra incombente, e l’antidoto più efficace – sembra dirci l’autore – è in una pratica di pensiero che tenga conto della pluralità delle realtà senza intenzioni riduzionistiche.
L’intervento si chiude con una brevissima presentazione del Buddismo. In estrema sintesi, il Buddismo:
- Non fa riferimento a Dio, né ad un figlio di Dio o a un suo messaggero, ma solo a un uomo (il Buddha, l’Illuminato) che ha compreso delle cose accessibili a chiunque e le vuole comunicare agli altri per il bene di tutti
- E’ a tutti gli effetti una religione, e una religione universale, in quanto la sua finalità è la salvezza (dal dolore dell’esistenza) e si rivolge a tutti indistintamente senza distinzione di cultura o razza
- IL buddismo NON prevede testi sacri né una verità assoluta né guru: “Non c’è una verità assoluta. La verità va sperimentata da ogni singolo”. La ragione non può arrivare a dirimere le grandi questioni metafisiche “una volta per tutte” perché è limitata. Ecco l’agnosticismo di Buddha e del buddhismo, molto simile a quello di Kant. E la verità è che “Sabbe dhamma anatta” Ogni realtà è priva di sé, tutte le cose esistono in maniera interdipendente, non esiste nulla di immediato. Il sapere arriva fino a qui, e non oltre. E’ la sua grande potenza – e il suo limite – dissolve le pretese di tutto ciò che è determinato a valere come assoluto.
Buona lettura!
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