OLGA CHIAIA, Uscire dalla solitudine, Urra
Un libro che affronta il tema della solitudine con grande umanità e sensibilità, ispirandosi a storie concrete in modo sobrio e delicato
Voto: 7,5
Il titolo del libro è molto impegnativo, la parola stessa “solitudine” fa un po’ paura e magari ci vergogniamo pure a passare alle casse della libreria di turno con un libro su questo argomento.
Tuttavia, questo testo della psicologa Olga Chiaia mi è piaciuto: non è assolutamente dogmatico, ma anzi è molto umano nell’esame della solitudine e delle persone sole, esame che non è soltanto teorico ma si avvale anche del racconto, delle storie di persone in carne e ossa. Inoltre l’autrice si mette in gioco da subito dichiarandosi fin dall’inizio una persona spesso troppo sola.
Il testo inizia subito con un’intuizione molto interessante: “Credo che un po’ tutti i libri siano di autoaiuto, dalla Bibbia ai romanzi. I manuali di self help, con esercizi e direttive, non sempre funzionano di più”. Tale intuizione in realtà è alla base di un progetto come quello del blog Sentieri Interrotti, in cui si esaminano incontri felici con testi dischi e film, tutti riferiti alla crescita personale in senso lato.
Con grande umanità (e umiltà) il libro continua parlando della solitudine e utilizzando riferimenti presi dal cinema dalla letteratura, dalle religioni (buddismo in particolare) dalla musica, dalla psicologia – dimostra cioè un eclettismo, che tuttavia non sfocia mai in erudizione, ma è sempre funzionale alla comprensione (“…per comprendere e aiutare basta esserci, non fuggire, stare lì con gentilezza. Non è necessario dire o fare o guarire, a volte basta non escludere, non fare altro male”).
Alla fine il messaggio del libro fa tutt’uno con la sua forma: per essere meno soli bisogna aprirsi, abbracciare le influenze più varie con uno spirito di condivisione, scoprendo inoltre il lato positivo, potente, dell’essere soli.
Spesso ci guardiamo troppo i piedi, presi dai nostri problemi e spaventati dai nostri difetti. Invece Olga ci insegna ad essere più attenti a chi ci sta di fronte, e c’è tutta l’esperienza della terapeuta nel racconto che ci fa delle storie dei suoi pazienti. Da qui emergono, con tratti semplici ma efficaci, delle caratteristiche universali che accomunano le persone sole – come ad esempio un senso di superiorità che si cela dietro al senso di inferiorità ed esclusione, o la percezione errata che più amici si ha e meglio è (con la relativa adesione acritica a qualunque tipo di rapporto), la sensazione di essere gli unici soli in un mondo di “integrati” – caratteristiche che sono viste senza critica, con uno sguardo partecipe.
Non manca anche un capitolo dedicato a una critica dell’odierna società liquida che “produce rifiuti umani che non sa come smaltire, e poi ne ha paura”, che è anche una critica della “buona creanza”, delle buone maniere che si usano nei luoghi non luoghi del moderno (i supermercati, gli aereoporti, i quartieri moderni ecc) per evitare un contatto umano più profondo.
Alla fine, l’autrice riconosce che la solitudine “può essere un momento di passaggio per cambiare, per crescere…è a partire da qui che diventiamo unici, che diventiamo soli come soli splendidi e possiamo illuminare la nostra via”.
PS: segnalo anche l’interessante corredo bibliografico alla fine del libro, abbastanza nutrito, con l’aggiunta gradita di qualche indirizzo web utile (non tutti ancora attivi, il libro risale infatti al 2010)
Buona lettura a tutti