Pema Chodron, Senza via di scampo

Pema Chodron, Senza via di scampo, Feltrinelli

http://ecx.images-amazon.com/images/I/313kRyNRbhL._BO1,204,203,200_.jpg

Un libro sulla meditazione per chi la pratica già e per chi vuole iniziare, dall’impostazione molto pragmatica, che riprende alcuni concetti fondamentali del buddismo leggendoli in funzione della pratica

Voto: 8

Il senso del libro di Pema Chodron sta tutto in quello spostamento dello sguardo in cui si passa dal guardare le cose, e tutto ciò che è esterno, all’osservare se stessi.

Questo è il senso della meditazione, ci dice Pema, lasciar cadere le cose per osservare noi stessi, i nostri pensieri, le nostre sensazioni, facendo continuamente ritorno là dove non siamo mai stati, ma risorgiamo sempre di nuovo, sempre nuovi – il respiro, che coincide con il momento presente.

E questo sguardo su noi stessi si attiva quando scegliamo di rinunciare alla “zona di comfort” ossia rinunciamo a giudicare, a dividere il mondo in piacevole e doloroso, rinunciamo a mettere in atto le nostre dinamiche di sempre, i nostri riflessi condizionati, per cercare di “capirci di più”.

Ecco che questo libro ci guida a guardare a noi stessi in un certo modo, non come siamo abituati a fare noi ovvero giudicando i nostri errori o esaltando le nostre vittorie, ma con “spirito di ricerca”, con “curiosità”.

Quello che è riproposto instancabilmente da Pema è l’assenza di giudizio intesa come assenza di critica, di preclusione, che consente di evitare le insidie della rimozione: “Il punto non è sbarazzarsi dell’io, bensì cominciare sul serio a sviluppare un interesse verso se stessi, essere curiosi, indagare su se stessi…adesso, non dopo”. Qui Pema parla al ricercatore spirituale che è tentato di “liberarsi dell’io” salvo poi precipitarvi dentro al primo intoppo. Non si tratta di rimuovere, in altre parole non si tratta di migliorare noi stessi recidendo una parte di noi che “non va bene”, ma di avere verso noi stessi uno sguardo autenticamente curioso.

Ma cosa si intende per sguardo “curioso”? “Lo spirito di ricerca, o curiosità, implica la gentilezza, la precisione e l’apertura; … la gentilezza è un sentimento di benevolenza verso se stessi. La precisione è il riuscire a vedere molto chiaramente, il non aver paura di vedere cosa c’è realmente…L’apertura è l’essere in grado di lasciare andare ed aprirsi”.

In particolare, la gentilezza amorevole o maitri è un concetto fondamentale nel buddismo in generale e in Pema Chodron in particolare. E’ questo sentimento che riesce ad aprire le porte della conoscenza di noi stessi. Lo sguardo con cui guardiamo noi stessi non deve essere uno sguardo giudicante – ma neppure autoindulgente o connivente. Si tratta di fare amicizia con se stessi, e proprio come un amico vedere con precisione partecipe ciò che noi siamo. “Nutrire gentilezza amorevole, maitri, verso se stessi non significa sbarazzarsi di qualcosa. Maitri significa che, dopo tutti questi anni, posiamo ancora permetterci di essere mezzi matti; possiamo ancora essere arrabbiati, timidi o gelosi, o sentirci del tutto indegni. Il punto non è sforzarsi di cambiare se stessi. La pratica della meditazione non consiste nel cercare di gettare via se stessi per sostituirsi con qualcosa di meglio. Vuol dire invece fare amicizia con la persona che già si è. L’oggetto della pratica siete voi, sono io, chiunque siamo qui e ora, ed esattamente come siamo”.

Grazie a questo sguardo familiarizziamo non con un ideale ma con ciò che è ossia la nostra vera natura: “Il fatto è che la nostra più vera natura non è un qualche ideale a cui dobbiamo elevarci. E’ ciò che siamo in questo preciso istante, ciò con cui possiamo fare amicizia e che possiamo onorare”. Questo è l’esatto contrario dell’esaltazione della propria immagine ideale, abituale nell’atteggiamento egoistico, o anche del guardarsi inebetiti il proprio ombelico: “Quando sediamo in meditazione, stiamo semplicemente esplorando l’umanità intera e l’universo sotto forma di noi stessi…La gioia consiste nell’iniziare a intuire la nostra connessione con tutta l’umanità. Ci rendiamo conto che abbiamo una parte in tutto ciò che gli altri posseggono e in tutto ciò che sono. L’amicizia con noi stessi non è una faccenda egoistica. Non stiamo cercando di accaparrarci tutto il meglio. E’ un processo di sviluppo della gentilezza amorevole, di genuina comprensione anche nei riguardi del nostro prossimo”.

E, di più, questo esito non prevede il superamento completo della facoltà del giudizio, ma anzi rende possibile il suo esercizio nella maniera più efficace : “La pratica della meditazione ci permette di conoscere realmente a fondo l’energia fondamentale, con un’onestà e una generosità straordinarie; ci permette di iniziare a distinguere le cose che ci avvelenano da quelle che ci procurano beneficio, il che comporta valutazioni differenti per ciascuno di noi…E’ il processo che ci porta a fare amicizia con noi stessi e con il mondo”.

Ma l’esercizio del giudizio dev’essere legato alla nostra percezione interiore autentica, non a dei “valori” che ci vengono imposti dall’esterno – che è poi il senso del maturare, del diventare adulti.

Consigliamo vivamente questo libro non solo a chi pratica effettivamente la meditazione formale (vipassana o simili) ma anche a chi è interessato alla crescita personale: l’esercizio dello sguardo proposto da questa monaca buddista americana di tradizione tibetana può insegnare molto a tutti coloro che vi si vogliono avvicinare.

http://www.amazon.it/Senza-scampo-saggezza-gentilezza-amorevole/dp/8807721791

 

Osho, I Tarocchi nello spirito dello Zen

OSHO, I Tarocchi nello Spirito dello Zen

Voto: 10

Tra gli innumerevoli volumi pubblicati con la firma di Osho, “Maestro di Realtà” indiano vissuto tra il 1931 e il 1990, celebre per il suo ashram di Pune e noto alle cronache – che spesso fraintendono e snaturano ciò che è essenziale – come sostenitore di una libertà di costumi al limite del libertinismo e come molto legato ai beni materiali (per approfondire: http://it.wikipedia.org/wiki/Osho_Rajneesh), vi è anche un mazzo di tarocchi “nello spirito dello Zen”.

Qui parlerò brevemente del libro omonimo, che riproduce nelle sue pagine le immagini di ciascuno dei tarocchi e per ciascuna carta un testo di approfondimento. Per chi volesse acquistare il mazzo di carte vero e proprio, è disponibile la pubblicazione “I Tarocchi Zen di Osho” con le 79 carte e un libretto con le chiavi essenziali per ciascuna carta.

Ora, i tarocchi di per se stessi sono legati al mondo della divinazione, sono delle carte che si esprimono attraverso immagini simboliche e che vengono utilizzate per predire il futuro delle persone nonché per dare dei consigli, degli avvertimenti, su come comportarsi e su cosa evitare. Molti di noi vi si avvicinano con la segreta speranza di vedere realizzati i propri sogni.

Osho in realtà vuole proporre qualcosa di completamente diverso: “Qui si tratta di attivare un processo di realtà che porti alla piena realizzazione del proprio destino, alla comprensione del proprio essere”. Quindi l’obiettivo non è realizzare i sogni o predire il futuro ma comprendere se stessi e così facendo realizzare una “concretezza fondata su una verità assoluta: il futuro in quanto tale non è scritto”. Sì perchè chi non comprende se stesso è condannato a ripetere gli schemi del passato, ossia dell’inconscio “Predire è possibile perchè le persone vivono come automi: se conosci il passato di qualcuno – a meno che questa persona sia un buddha – sarai in grado di predirle il futuro perchè ripeterà il suo passato”. Mentre invece “non puoi leggere l’oroscopo di un buddha, non puoi leggergli la mano, perchè è talmente libero dal passato ed è così vuoto nel presente, che non c’è nulla da leggere!”.

Interessante il metodo consigliato per utilizzare questi tarocchi: “…la risposta “definitiva” [cioè quelle che si cercano tramite i tarocchi, e tutte le altre…] è dentro ciascuno di noi. Semplicemente, ci siamo scordati come fare ad attivare, e soprattutto ad ascoltare, la piccola voce silente che ci accompagna come una scintilla nel buio. Solo frequentare senza fretta queste pagine aiuta a dare spazio e corpo a quella voce…”. Un po’ come si frequentano dei buoni amici, senza ansie, godendoseli e dedicando a ciascuno la massima attenzione.

Io ho adottato questo metodo: la sera leggo una prima carta e la medito, la mattina al risveglio la rileggo, e lascio decantare i significati e i concetti più importanti. La sera successiva rileggo velocemente la carta del giorno prima e leggo la carta successiva e così via. Il mazzo si compone di 79 carte, ciascuna dedicata a un simbolo o a un concetto, raffigurati con grande forza evocativa da una discepola di Osho – Ma Deva Padma. E’ incredibile la ricchezza di prospettive che i tarocchi di Osho, trasformati in strumento di meditazione giornaliera, riescono a dare.

Inoltre è sempre possibile optare per una lettura meno “fredda” e sistematica e più tradizionale: se si hanno delle domande particolari da fare all’esistenza, si può aprire una pagina a caso del libro dei tarocchi zen di Osho (cosa che vale un po’ come un’estrazione) e si legge il commento relativo alla carta. Se si preferisce si può fare una più tradizionale estrazione dal mazzo di carte vero e proprio “I tarocchi zen di Osho”: si consigli di estrarre una carta alla volta, anche una sola carta è molto ricca di significati e di suggerimenti (nel senso che abbiamo chiarito sopra) e il procedimento è molto semplificato e alla portata di tutti rispetto a più complesse estrazioni multiple.

Per chiudere, che dire: Osho non delude mai, ogni sua lettura (anche e soprattutto quella dei Tarocchi) è eccezionalmente arricchente. Come dice lui stesso nella lettura della carta “il Maestro”: “Il Maestro accoglie i discepoli non perchè li vuole guidare, ma perchè ha un’immensità da condividere. Insieme, essi creano un campo di energia che sostiene l’unicità di ogni individuo affinchè trovi la propria luce…Il Maestro autentico non è interessato alle parole, non è interessato alla fede, al teismo o all’ateismo, non è interessato nemmeno a dio, al paradiso o all’inferno. Il Maestro autentico è interessato unicamente ad una cosa: a provocarti per farti vedere il tuo potenziale, per farti guardare dentro di te”. E’ un maestro di interruzioni …E l’obiettivo non è per nulla modesto: “…A meno che una persona non diventi dio, non c’è benedizione, non c’è beatitudine. E ogni persona ha la potenzialità di diventare dio, e l’intera vita è un operare per trasformare la potenzialità in realtà”. Un saluto di cuore a tutti.

http://www.amazon.it/tarocchi-Osho-gioco-trascendente-dello/dp/8883958594

http://www.macrolibrarsi.it/libri/__Tarocchi_Zen_di_Osho.php

http://www.ilgiardinodeilibri.it/libri/__i-tarocchi-nello-spirito-dello-zen.php

Sentieri Interrotti – Spunti per una vita più felice

E’ di stamattina la decisione di pubblicare un mio sito di crescita personale, che ho scelto di chiamare “sentieri interrotti”. La scelta del nome è stata istintiva, ma prefigura in qualche modo l’intenzione di offrire degli spunti di crescita personale, non proprio delle strade ma dei più umili sentieri, che oltre tutto non portano a nessun contenuto particolare e determinato (che cioè non “fanno cultura”), ma che ad un certo punto si interrompono. Ma perchè questi umili sentieri che per di più si interrompono prima di arrivare dovrebbero interessare qualcuno? Buona domanda. La stessa che mi sono fatto anch’io più volte, una volta acquistato lo spazio web per realizzare il progetto, e inserito senza troppo riflettere il nome di dominio “sentieriinterrotti.com” ad una precisa richiesta del sistema.

La risposta a questa domanda, presagivo, sarebbe venuta quando avessi capito cosa veramente mi aveva spinto a chiamare il progetto in quel modo. Per tutta la mattina ho pensato ai vari possibili rimandi significativi (la vicinanza alla filosofia, l’umiltà, il richiamo al compito di ciascun lettore di completarlo per proprio conto), ma nessuno mi soddisfaceva appieno. Ad un certo punto, stanco di rimuginare, ho deciso di fare un giro in bicicletta nel mio quartiere. Di solito mi aiuta a rilassarmi e schiarirmi le idee. Faccio sempre lo stesso percorso, una pista ciclabile che passa attraverso diverse strade e diversi semafori. Al secondo semaforo mi fermo. E’ rosso. Con me sul marciapiede ad attendere il verde c’è una madre con il suo bambino, che avrà avuto circa sei anni, non di più. A metà altezza sul semaforo c’è un modulo di plastica di quelli che servono per la chiamata pedonale.

Ora, questo semaforo aveva un modulo particolare, di quelli che non hanno un pulsante in evidenza. Altri sono più semplici da usare perchè hanno il pulsante verde o rosso che sporge, questi invece hanno uno scasso centrale (che non si capisce a cosa serva) ma del pulsante nessuna traccia.

immagine01

Bene, voi mi prenderete per uno sprovveduto ma io vivo dal 2003 a Bologna e ho sempre visto questi semafori un po’ strani ma non ho mai capito come si facesse per azionare questi moduli per la chiamata pedonale senza pulsante. Quindi me ne stavo fermo con la bici tra il semaforo e la madre col bambino, ad aspettare rassegnato. Ad un certo punto il bambino di sei anni si smarca dalla madre e fa per venire verso di me. Io penso: il bimbo è tanto simpatico ma un po’ timido, mi guarda un attimo poi distoglie lo sguardo, per un attimo sembra mettersi in mezzo tra me e la strada, ma oggi ho una buona giornata e quindi faccio un sorriso comprensivo alla madre. In realtà il bambino si smarca anche dalla mia bici e si precipita sul semaforo. La sua testa arriva più o meno all’altezza del modulo per la chiamata pedonale. Molto naturalmente allunga la sua piccola mano e vedo che tocca qualcosa là sotto e si sente molto distintamente un sonoro “bip”. Poi torna dalla madre. Nel giro di pochi secondi il semaforo diventa verde.

La cosa mi sconcerta, decido di fermarmi e di toccare la parte sotto del modulo…tastandola delicatamente sento che c’è un piccolo pulsante là sotto, che nei miei goffi tentativi di azionare il meccanismo avevo sempre trascurato. Forse – penso – il bambino aveva l’altezza e le dimensioni della mano giuste per accorgersi di questa cosa, forse io che sono più grande e più goffo non ho mai fatto sufficiente attenzione a questo particolare.
E’ come un flash. In quel momento capisco cosa potrebbero essere per me – e non per qualche illustre filosofo – i sentieri interrotti: Il bambino aveva interrotto un mio percorso, si era messo tra me e la strada, i miei obiettivi. All’inizio ho reagito con sufficienza, ma lui non lo faceva per confondermi o danneggiarmi, né era minimamente timido o confuso, e meno ancora voleva tenere una lezione sulla semaforica a mio beneficio – in realtà lo ha fatto per rendere più semplice la vita per sé e per gli altri, per trasformare il rosso in verde, e questo riesce non a chi dà per scontato le cose, ma a chi si avvicina ad esse con umiltà e curiosità, come un bambino. Molte volte subiamo delle situazioni, delle sofferenze, che non sono affatto necessarie, ma lo facciamo perchè siamo abituati a farlo e continuiamo per inerzia, assuefatti, giorno dopo giorno. Allora un saggio bambino che interrompe i nostri sentieri usati e ci mostra come semplificare la vita a noi e a lui allo stesso tempo può essere quello di cui abbiamo bisogno. Non una rivoluzione epocale, non dei cambiamenti radicali nelle nostre vite, ma l’utilizzo più saggio e concreto dei tanti strumenti che tutti abbiamo sempre a disposizione per vivere una vita migliore – che ce ne rendiamo conto oppure no – e per fare in modo che i verdi sulla nostra strada diventino sempre più frequenti, perchè forse la presenza di tanti rossi così lunghi in un certo senso è anche una nostra responsabilità.

In questo blog vi proporrò tanti piccoli resoconti di come delle persone sagge, dallo sguardo puro come quello di un bambino – di volta in volta scrittori, musicisti, poeti, registi, filosofi, uomini di fede – hanno interrotto il corso monotono dei miei pensieri e dei miei progetti mostrandomi un modo nuovo di vedere le stesse cose, e di vivere la mia vita. Sono piccoli sentieri interrotti che nel loro terminare lasciano spazio all’Aperto, alla Radura dell’Essere, sempre disponibile – e però anche solo disponibile – a chi si lascia istruire dallo sguardo di un bambino.