Pema Chodron, Senza via di scampo, Feltrinelli
Un libro sulla meditazione per chi la pratica già e per chi vuole iniziare, dall’impostazione molto pragmatica, che riprende alcuni concetti fondamentali del buddismo leggendoli in funzione della pratica
Voto: 8
Il senso del libro di Pema Chodron sta tutto in quello spostamento dello sguardo in cui si passa dal guardare le cose, e tutto ciò che è esterno, all’osservare se stessi.
Questo è il senso della meditazione, ci dice Pema, lasciar cadere le cose per osservare noi stessi, i nostri pensieri, le nostre sensazioni, facendo continuamente ritorno là dove non siamo mai stati, ma risorgiamo sempre di nuovo, sempre nuovi – il respiro, che coincide con il momento presente.
E questo sguardo su noi stessi si attiva quando scegliamo di rinunciare alla “zona di comfort” ossia rinunciamo a giudicare, a dividere il mondo in piacevole e doloroso, rinunciamo a mettere in atto le nostre dinamiche di sempre, i nostri riflessi condizionati, per cercare di “capirci di più”.
Ecco che questo libro ci guida a guardare a noi stessi in un certo modo, non come siamo abituati a fare noi ovvero giudicando i nostri errori o esaltando le nostre vittorie, ma con “spirito di ricerca”, con “curiosità”.
Quello che è riproposto instancabilmente da Pema è l’assenza di giudizio intesa come assenza di critica, di preclusione, che consente di evitare le insidie della rimozione: “Il punto non è sbarazzarsi dell’io, bensì cominciare sul serio a sviluppare un interesse verso se stessi, essere curiosi, indagare su se stessi…adesso, non dopo”. Qui Pema parla al ricercatore spirituale che è tentato di “liberarsi dell’io” salvo poi precipitarvi dentro al primo intoppo. Non si tratta di rimuovere, in altre parole non si tratta di migliorare noi stessi recidendo una parte di noi che “non va bene”, ma di avere verso noi stessi uno sguardo autenticamente curioso.
Ma cosa si intende per sguardo “curioso”? “Lo spirito di ricerca, o curiosità, implica la gentilezza, la precisione e l’apertura; … la gentilezza è un sentimento di benevolenza verso se stessi. La precisione è il riuscire a vedere molto chiaramente, il non aver paura di vedere cosa c’è realmente…L’apertura è l’essere in grado di lasciare andare ed aprirsi”.
In particolare, la gentilezza amorevole o maitri è un concetto fondamentale nel buddismo in generale e in Pema Chodron in particolare. E’ questo sentimento che riesce ad aprire le porte della conoscenza di noi stessi. Lo sguardo con cui guardiamo noi stessi non deve essere uno sguardo giudicante – ma neppure autoindulgente o connivente. Si tratta di fare amicizia con se stessi, e proprio come un amico vedere con precisione partecipe ciò che noi siamo. “Nutrire gentilezza amorevole, maitri, verso se stessi non significa sbarazzarsi di qualcosa. Maitri significa che, dopo tutti questi anni, posiamo ancora permetterci di essere mezzi matti; possiamo ancora essere arrabbiati, timidi o gelosi, o sentirci del tutto indegni. Il punto non è sforzarsi di cambiare se stessi. La pratica della meditazione non consiste nel cercare di gettare via se stessi per sostituirsi con qualcosa di meglio. Vuol dire invece fare amicizia con la persona che già si è. L’oggetto della pratica siete voi, sono io, chiunque siamo qui e ora, ed esattamente come siamo”.
Grazie a questo sguardo familiarizziamo non con un ideale ma con ciò che è ossia la nostra vera natura: “Il fatto è che la nostra più vera natura non è un qualche ideale a cui dobbiamo elevarci. E’ ciò che siamo in questo preciso istante, ciò con cui possiamo fare amicizia e che possiamo onorare”. Questo è l’esatto contrario dell’esaltazione della propria immagine ideale, abituale nell’atteggiamento egoistico, o anche del guardarsi inebetiti il proprio ombelico: “Quando sediamo in meditazione, stiamo semplicemente esplorando l’umanità intera e l’universo sotto forma di noi stessi…La gioia consiste nell’iniziare a intuire la nostra connessione con tutta l’umanità. Ci rendiamo conto che abbiamo una parte in tutto ciò che gli altri posseggono e in tutto ciò che sono. L’amicizia con noi stessi non è una faccenda egoistica. Non stiamo cercando di accaparrarci tutto il meglio. E’ un processo di sviluppo della gentilezza amorevole, di genuina comprensione anche nei riguardi del nostro prossimo”.
E, di più, questo esito non prevede il superamento completo della facoltà del giudizio, ma anzi rende possibile il suo esercizio nella maniera più efficace : “La pratica della meditazione ci permette di conoscere realmente a fondo l’energia fondamentale, con un’onestà e una generosità straordinarie; ci permette di iniziare a distinguere le cose che ci avvelenano da quelle che ci procurano beneficio, il che comporta valutazioni differenti per ciascuno di noi…E’ il processo che ci porta a fare amicizia con noi stessi e con il mondo”.
Ma l’esercizio del giudizio dev’essere legato alla nostra percezione interiore autentica, non a dei “valori” che ci vengono imposti dall’esterno – che è poi il senso del maturare, del diventare adulti.
Consigliamo vivamente questo libro non solo a chi pratica effettivamente la meditazione formale (vipassana o simili) ma anche a chi è interessato alla crescita personale: l’esercizio dello sguardo proposto da questa monaca buddista americana di tradizione tibetana può insegnare molto a tutti coloro che vi si vogliono avvicinare.
http://www.amazon.it/Senza-scampo-saggezza-gentilezza-amorevole/dp/8807721791