Un piccolo testo che in forma lieve ed evocativa danza sull’orlo del silenzio
Voto: 8
Ho sempre avuto il dubbio che i grandi viaggi, quelli che si programmano un anno prima, quelli che più lontano vai e più esotico suona il posto meglio è, non avessero il valore che normalmente gli si attribuisce.
Ma mi ci voleva un piccolo, agile testo come questo per trovarne una puntuale, delicata conferma.
E’ un testo paradossale: l’autore è un grande viaggiatore e a sua volta ci invita ad un viaggio (breve) alla scoperta dell’immobilità.
Nel corso di questo viaggio evoca diversi luoghi e personaggi, ma è come camminare sull’orlo del silenzio, il testo una traccia appena accennata, e tutti i personaggi evocati puntano il dito per un attimo verso il cuore immobile del moto, per poi scomparire.
Ognuno di essi incarna a suo modo il paradosso stesso del libro.
Ad esempio, ad un certo punto viene evocato “Thoreau, uno dei più grandi esploratori del suo tempo” che “scrive nei diari: “Non importa dove vai o quanto viaggi lontano – di solito, più è lontano, peggio è; importa quanto sei vivo””.
Proprio il tanto viaggiare produce la conoscenza della vanità del viaggio fine a se stesso, e della vitalità collegata al suo opposto – la quiete.
Memorabile la figura di Leonard Cohen con cui si apre e si chiude il libro, “quell’ometto con l’aria da rabbino, gli occhiali con la montatura in metallo e il berretto di lana”, anche lui “instancabile viaggiatore”: per lui alla fine di tanto peregrinare “Stare seduto immobile era l’unico divertimento davvero intenso che aveva trovato nella vita, un divertimento profondo e sensuale e delizioso. Una vera festa”
Pico ci ricorda che “parlare di quiete è davvero un modo per parlare di lucidità, di salute e di gioia” …”piaceri inaspettati” di un libro che è un “invito all’avventura di non andare da nessuna parte”. Ricorda l’invito al piacere di Epicuro, tutt’altro che crapula ma uso misurato e saggio dei beni naturali e necessari per vivere, riconosciuti come tali e distinti dai beni non naturali e non necessari, che invece era opportuno evitare. O come fa dire Iyer all’ammiraglio Byrd “metà della confusione del mondo deriva dal non sapere di quanto poco abbiamo bisogno”
Ma perché questo invito all’avventura paradossale della quiete? Perché “La maggior parte dei nostri problemi – e di conseguenza le nostre soluzioni, la nostra serenità – stanno all’interno”; “La nostra esistenza si svolge così tanto dentro la nostra testa – nella memoria o nell’immaginazione, nella speculazione o nell’interpretazione- che talvolta mi sembra che il modo migliore per cambiarla sia guardarla da un’angolatura diversa, mutando la prospettiva dentro di noi”.
Ed ecco riformulato il paradosso iniziale: “Ho sempre viaggiato, eppure l’esperienza che ne ho tratto ha acquistato significato e vigore solo dopo che ho fatto ritorno a casa, e solo nella quiete ho trasformato quanto ho visto in profonde visioni interiori”.
Ed è questo il senso dell’attività dello scrittore, “trasformare una vita di movimento nella quiete dell’arte” come Proust che ci può illuminare “con le sue storie di guerra e feste scintillanti, di donne incantevoli, dame dell’alta società e sfarzose serate al teatro dell’opera” … “solo stando seduto immobile, praticamente da solo…per anni e anni a osservare come ricostruiamo il mondo in forma permanente nelle nostre teste”.
In successione sfilano altri personaggi, tratteggiati con poche, efficaci pennellate come Emily Dickinson, “la poetessa famosa per non essere quasi mai uscita di casa”, oppure Mark Rothko, al cospetto dei cui quadri si avverte “una forza che attirava sotto la superficie dei dipinti, verso la quiete dei colori” o la vita che John Cage “aveva espresso con il silenzio”, oppure Thomas Merton, che si ritira in un monastero per decenni salvo poi conoscere l’amore carnale in ospedale a 51 anni dopo una vita di rinunce – e questo insegna che la quiete non può essere forzata, e che “non si possono vincere le ombre dentro di noi semplicemente allontanandosi da esse” in una “cattiva” quiete. Non poteva mancare naturalmente Blaise Pascal, che disse nei suoi pensieri che “tutta l’infelicità degli uomini ha origine da un semplice fatto: non sono capaci di starsene tranquilli nella loro stanza”.
In definitiva ”potete andare in vacanza a Parigi, alle Hawaii o a New Orleans, e vi divertirete un sacco … Ma se volete tornare a casa sentendovi nuovi – vivi, pieni di speranza e innamorati del mondo – allora credo che “nessun dove” sia il luogo che voi dobbiate visitare”.
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Mi e piaciuto il fatto che qualcuno abbia capito qualcosa, Questa si chiama saggezza